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Mohammad Sammak

Consejero especial del Gran Mufti del Líbano
 biografía

Il mondo sta cambiando. Allo stesso modo cambiano i rapporti tra i popoli.

Il cambiamento climatico si fa sentire in tutta la sua durezza: tempeste, uragani, inondazioni, desertificazione sono in aumento, sia in frequenza che in intensità - e in impatto distruttivo. Allo stesso modo assistiamo a migrazioni dall’est all’ovest, dal sud al nord. I popoli migrano assieme alle loro tradizioni, culture e fedi religiose.

Attualmente un terzo dei 2,2 miliardi di musulmani si trovano in paesi non musulmani. Vi sono in Corea del Sud più cristiani presbiteriani che negli Stati Uniti.

Un quarto di tutti i Cristiani è africano.

Tutte queste descrizioni indicano che siamo sì, più collegati, ma allo stesso tempo più separati. 

Gli scontri militari rendono questo fenomeno più difficile da affrontare, e gravido di pericoli. Lo abbiamo visto nel Medio Oriente, sin da quando i palestinesi sono stati costretti a emigrare in Libano, Siria, Giordania.

La loro migrazione ha squilibrato l’ordine sociale in quei Paesi. Ha acceso una guerra civile in Libano. È lo stesso pericolo che corriamo oggi con la migrazione dei siriani.

Le persone migrano assieme alle loro fedi e stili di vita, che sono diversi dalle fedi e dagli stili di vita dei paesi di accoglienza. In questo modo lo scontro è imminente. L’Italia, e l’Europa nel suo complesso sanno bene quali siano le conseguenze pesanti e complicate di ciò, le stesse sono conosciute e non possono essere evitate.

In fondo tutto ciò è un aspetto della globalizzazione, è un fatto che nessuno può più negare, arrestare o ignorare.

In tutte le culture viene ripetuto che tutti i popoli sono una sola famiglia, figli e figlie dell’unico Dio, che li ha creati. Ma la verità è che Dio ci ha creati nella diversità, e per essere diversi. La verità è anche che noi riaffermiamo questa teoria nelle nostre preghiere, e nelle nostre rispettive culture (il fatto di essere stati creati nella diversità) ma finiamo per non accettarla e rispettarla come una realtà della vita.

Osservate ad esempio la guerra distruttrice in Ucraina. Preti della stessa religione benedicono i soldati e i loro armamenti nei rispettivi fronti del conflitto. Abbiamo visto queste assurdità nel Medio Oriente, quando i terroristi, guidati dai leader religiosi anch’essi terroristi, hanno ucciso i cristiani, così come i musulmani, e distrutto i loro luoghi di culto semplicemente per il fatto di essere differenti.

La verità è che l’altro non può essere tale, se lui o lei non è diverso da noi. Per questo l’umanità ha bisogno di promuovere una cultura del rallegrarsi dell’esistenza di differenze tra i popoli.

Io so, e posso confermare, che Sant’Egidio sta promuovendo questa cultura da decenni, e in tutti i suoi incontri internazionali. So anche che l’UNESCO ha prodotto un documento in cui richiede a tutte le nazioni di accettare e rispettare le differenze culturali e religiose. Ma finora il risultato non è incoraggiante.

Sì, la globalizzazione e le nuove tecnologie hanno accorciato le distanze e spalancato le porte della conoscenza, ma non hanno intaccato la cultura inveterata del rifiuto dell’altro. Gli ucraini, ad esempio, hanno convissuto assieme per secoli - est e ovest, cattolici e ortodossi, russi e non russi - ma tutta questa storia dell’essere insieme non li ha risparmiati dalla guerra miserabile e distruttiva che ora li affligge. Noi stiamo al loro fianco nelle loro sofferenze. Essere insieme non vuol dire automaticamente essere legati.

Noi esseri umani abbiamo immaginato la fine del mondo fin da quando abbiamo ereditato la terra, e nella maggioranza delle nostre mitologie il mondo cessa di esistere prima di iniziare. Giove e Odino dovettero muovere guerra totale ai loro antenati per fare spazio all’uomo. La storia dell’arca di Noè prefigura molte moderne fantasie di colonizzazione interstellare. I paleontologi ci parlano di cinque importanti estinzioni, l’ultima delle quali fu portata a termine, in teoria, da un malizioso asteroide che mise fine ai dinosauri e ricoprì il mondo di sottile strato di sedimenti di iridio 66 milioni di anni fa.

Oggi la nostra specie è sufficientemente evoluta che non ha più bisogno dell’intervento di un dio, di un asteroide o di alieni guerrafondai per portarci alla fine del mondo. La domanda aperta è se siamo sufficientemente evoluti o maturi per salvarci da noi stessi.

La religione ci insegna che Dio ci ha creati per essere i suoi vicari nella cura e nell’amministrazione del mondo. La globalizzazione può essere un buon inizio, ma né gli armamenti pesanti, né il cambiamento climatico sono indizi del fatto che siamo degni di questa nobile missione. La verità è che gli armamenti sono intrinsecamente autodistruttivi. Un asteroide costruita da mani d’uomo potrà fare diventare noi umani dei moderni dinosauri.

Stiamo già affrontando le conseguenze distruttive causate dall’ 1% di aumento del riscaldamento globale, ma ci vantiamo del fatto di essere in grado di produrre una bomba 5 volte più grande del centro del sole. 

Fin qui, l’umanità si trova schiacciata in modo distruttivo tra il cambiamento climatico e gli armamenti. Entrambi sono frutto dell’azione dell’uomo. Entrambi possono e devono essere smantellati.

Come? Se c’è una volontà, c’è anche una strada

Quando? Adesso, prima che sia troppo tardi.

Perché? Semplicemente per restare umani, e vicari di Dio.