30 Septiembre 2013 09:00 | Sala de conferencias de Villa Maria
Le religioni e la violenza sulle donne
Le religioni e la violenza sulle donne
David Rosen
Quando i rappresentanti religiosi uomini affrontano il tema di come sono trattate le donne nelle loro rispettive tradizioni, tendono a indulgere nell’apologetica. Ciò ha un suo senso, e anch’io tenderò a comportarmi allo stesso modo.
Tuttavia, prima dell’apologetica, devono venire le scuse; non ho titolo per presentarle, se non per conto della mia tradizione religiosa.
Perciò permettetemi di iniziare, prima e sopra ogni cosa, con una richiesta di perdono al nostro Creatore, per tutte le volte che la mia comunità non ha accordato alle donne quella pienezza dell’immagine divina a somiglianza della quale furono create.
Abbiamo peccato contro le donne, e così facendo abbiamo peccato contro Dio. E, nella misura in cui si verifica ancora un grandissimo tasso di violenza contro le donne, noi perpetriamo i peccati dei nostri Padri, tramandandoli da una generazione all’altra.
Ora però vorrei passare all’apologetica, non solo per contestualizzare questa triste storia, ma anche per far risaltare i valori che la nostra stessa tradizione incarna - e che dovrebbero guidarci e ispirarci – relativi alla dignità della donna.
La maggior parte delle religioni, e sicuramente quelle abramitiche, hanno origine all’interno di sistemi patriarcali nei quali le donne erano al massimo dei beni mobili di proprietà degli uomini.
Sebbene la narrazione biblica presenti testi “problematici” riguardo allo status delle donne, essa rappresenta un importantissimo passo avanti verso la restituzione alle donne della loro dignità, dono di Dio.
Ciò non soltanto si può rilevare nel ruolo significativo delle Matriarche e delle profetesse; ancor di più si può rinvenire nella legislazione che garantiva alla donne, probabilmente per la prima volta, i loro diritti.
In particolare, l’insegnamento biblico per cui ogni persona è creata a immagine e somiglianza di Dio, ha un grandissimo significato.
Il grande saggio della Mishnah, Ben Azzai – duemila anni fa – poneva l’accento su questo, come il principio più importante di tutta la Bibbia.
Per fare ciò non si riferiva tanto ai primi e antichi riferimenti alla creazione della persona umana nella storia della genesi, quanto piuttosto ai primi versetti del quinto capitolo della Genesi:
“Questo è il libro della discendenza di Adamo. Nel giorno in cui Dio creò l'uomo, lo fece a somiglianza di Dio. Maschio e femmina li creò, li benedisse e diede loro il nome di Adamo nel giorno in cui furono creati.”
Questi versetti sottolineano il fatto che “Adamo” è un nome maschile e femminile allo stesso tempo. Ciò è coerente con la lettura midrashica, che non traduce “costola” la parola ebraica“zela”, bensì la traduce come “intero lato” (similmente, le specifiche bibliche per la costruzione del Santuario nell’Esodo (capitolo 26) usano la parola “zela” per significare un intero lato del Santuario).
Ben Azzai continua:“Per timore che tu dica: poiché fui disprezzato, che mio fratello sia disprezzato assieme a me; poiché fui maledetto, che mio fratello sia maledetto con me”;
E il saggio Rabbi Tanhumah aggiunge:
“se così farai, conoscerai colui che disprezzi, poiché egli (Adamo) fu creato a immagine di Dio”
Di conseguenza, ogni affronto alla dignità di qualunque essere umano, sia maschio o femmina, è,di fatto, una forma di bestemmia verso Dio.
La succitata affermazione di Ben Azzai fu pronunciata nel contesto di un dibattito con il suo contemporaneo Rabbi Akiva,che valuta il versetto 18 del capitolo 19 del Levitico - “Amerai il tuo prossimo come te stesso”– come il più grande e fondamentale comandamento della Torah.
Potremmo dire che Ben Azzai era preoccupato di una possibile interpretazione restrittiva del termine “prossimo”. Come abbiamo visto, egli temeva che le esperienze soggettive assurgessero a criterio per il giudizio morale.
Il principio dell’immagine divina della persona umana trascende tutto.
Sebbene non faccia diretto riferimento al concetto durante la sua conversazione, lo stesso Rabbi Akiva, saggio della Mishnah più che ogni altro, sottolinea ripetutamente questo principio fondamentale dell’immagine e somiglianza divina: quello dell’inalienabilità della dignità umana, che ne è la conclusione finale.
La Mishnah (Bava Kama 8:6) racconta la storia di un uomo che si prese gioco di una donna di facili costumi scoprendone i capelli in pubblico (nell’antico Israele, le donne virtuose tenevano i capelli intrecciati, ed era considerato disonorevole presentarsi in pubblico con i capelli sciolti). Quella donna presentò un reclamo a Rabbi Akiva,che multò l’uomo per quattrocento zuz (una somma molto grande a quei tempi) per l’umiliazione a lei inflitta. L’uomo, dopo aver chiesto una dilazione per pagare la multa –Akiva gliela accordò – preparò una trappola per la donna. Mentre lei usciva dal cortile, diretta alla pubblica via, lui ruppe un’ampolla di olio prezioso davanti a lei.(Era un olio per le unzioni che, al nostro tempo, può essere paragonata a una lozione pregiata per il corpo o a un balsamo. Quella donna fu chiaramente orripilata da tutto quello spreco).Ella sciolse i suoi capelli e raccolse l’olio, spargendolo poi su tutta la testa.
L’uomo si era procurato dei testimoni e li portò davanti a Rabbi Akiva.“Rabbi” disse “è a questo genere di persona che devo pagare quattrocento zuz”?
Akiva replicò: “ non sei andato da nessuna parte. Quando una persona fa male a se stessa, non è soggetta a punizione, sebbene non avesse diritto a compiere quell’atto. (Tuttavia) quando gli altri lo colpiscono, sono punibili.(Similmente)quando una persona abbatte i propri alberi (da frutta) non è punibile, sebbene non avesse diritto a compiere quell’atto. Quando sono altri ad abbattere gli alberi (da frutta) di sua proprietà, essi sì, sono punibili.”
La dignità umana è un valore sacrosanto, indipendentemente da come uno è stato trattato, ma anche indipendentemente da come uno ha trattato se stesso.
Quindi non solo la violenza, contro chiunque, con eccezione dell’autodifesa, è proibita; i nostri saggi insegnano che colui che alza la sua mano (per colpire) un altro è da considerare una persona malvagia (Talmud babilonese, Sanhedrin 58b).
Inoltre, la Torah ci insegna che Dio ha un amore preferenziale per i vulnerabili; e che l’ammonizione all’Imitatio Dei, all’imitazione cioè delle qualità divine, presuppone un comportamento analogo.
Per dirla con le parole del saggio Abba Shaul (Mechilta, Cantico dei Cantici, 3):“così come lui è misericordioso e compassionevole, tu dovrai essere misericordioso e compassionevole.”
In aggiunta, i saggi del Midrash commentano il Salmo 68 al versetto 2 - “Sorga Dio e siano dispersi i suoi nemici e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano” - nel modo seguente:
“è una delle cinque volte in cui (nel libro dei Salmi) Davide chiede a Dio di sorgere. Ma Dio non gli risponde. Quando, allora, sorgerà? Recita il Salmo 12al versetto 6: “per l'oppressione dei miseri e il gemito dei poveri,ecco, mi alzerò - dice il Signore”.
I nostri saggi ci dicono quindi che anche colui che è stato eletto da Dio non può presupporre che Dio risponda automaticamente alla sua chiamata.
Questo riporta la memoria al commento di Abramo Lincoln, quando gli chiesero se Dio stava dalla parte degli Stati del Nord nella Guerra civile americana. Si dice che egli abbia risposto: “quello che conta,è stare noi dalla parte di Dio!”
Il midrash ci dice che stiamo “dalla parte di Dio”, quando sorgiamo, “ci alziamo”, per il bene dei bisognosi, degli emarginati e dei vulnerabili.
La violenza contro le donne e in modo particolare la terribile tratta schiavistica e il traffico delle donne, è una macchia oltraggiosa su tutta l’umanità.
E’ un’umiliazione per le nostre religioni, che insegnano il principio della dignità umana come dono di Dio; rappresenta una sfida per noi tutti, perché facciamo di più e meglio per proteggere e promuovere il benessere e lo status delle donne nelle nostre società, e in particolare nelle nostre comunità religiose.