30 September 2013 18:30 | Chiesa della Comunità di Sant'Egidio, Ostia
Il modello dei martiri della Chiesa greco-cattolica
«HO COMBATTUTO LA BUONA BATTAGLIA,
HO TERMINATO LA CORSA,
HO CONSERVATO LA FEDE» (2Tim 4,7)
IL MODELLO DEI MARTIRI DELLA CHIESA GRECO-CATTOLICA
Dalla seconda lettera di San Paolo apostolo a Timoteo (4,1-8)
1Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: 2annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento. 3Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, 4rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole. 5Tu però vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero.
6Io infatti sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. 7Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. 8Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Sia lodato Gesù Cristo, nostro Signore!
L’Anno della fede invita noi tutti a valorizzare la memoria dei martiri per la fede.
“Per fede i martiri donarono la loro vita, per testimoniare la verità del Vangelo che li aveva trasformati e resi capaci di giungere fino al dono più grande dell’amore con il perdono dei loro persecutori”. (Porta Fidei, 13)
«Il cammino della Chiesa greco-cattolica di Romania non fu mai facile, come dimostrano le sue vicissitudini. Ad essa, nel corso dei secoli, fu chiesta una dolorosa e difficile testimonianza di fedeltà all'esigenza evangelica dell'unità. Essa è diventata così in modo speciale la Chiesa dei testimoni dell'unità, della verità e dell'amore.(…) Ma è soprattutto nella seconda metà del ventesimo secolo, all'epoca del totalitarismo comunista, che la vostra Chiesa ha dovuto subire una durissima prova, meritandosi giustamente il titolo di "Chiesa dei confessori e dei martiri"» , scriveva il Beato Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica indirizzata alla Chiesa Greco-Cattolica di Romania, in occasione dell’anniversario del tricentenario dell’Unione con la Chiesa di Roma.
Così come la descriveva il Beato Pontefice Giovanni Paolo II: «La Chiesa greco-cattolica di Romania affonda le sue radici nella Parola di Dio, nell'insegnamento dei Padri e nella tradizione bizantina, ma trova inoltre una sua peculiare espressione nell'unione con la Sede Apostolica e nello stigma delle persecuzioni del XX secolo, oltre che nella latinità del suo popolo. È da tutti questi elementi che risulta l'identità della vostra Chiesa, la cui radice ultima è la Santissima Trinità».
Facendo una lettura meditativa di questo documento pontificio mi sono domandato: capisco l’importanza dell’unione con la Sede Apostolica di Roma lungo la storia, comprendo anche l’importanza di conoscere le radici della latinità del nostro popolo, ma quale sarebbe l’importanza dello «stigma delle persecuzioni del XX secolo»? In altre parole quale sarebbe la lezione che il Signore vorrebbe insegnarci dai modelli dei nostri martiri del XX secolo, dalle loro ferite e patimenti? Che cosa potremmo imparare da queste persone separate in un modo brutale dal mondo, buttate in celle scure di prigioni (carceri), torturate, portate con catene pesanti ai lavori forzati e in seguito, dopo anni e anni di inimmaginabili tormenti e sofferenze, isolate in domicili forzati, lontane dai parenti, o gettate come stracci sporchi in fosse comuni in cimiteri dei mendicanti?
Lo scopo di questa presentazione è anche quello di scoprire la modalità con la quale quelle anime nobili sono riuscite a resistere alle dure prove, tramite una lotta esclusivamente spirituale; ottenendo un vittoria spirituale della fede contro l’evidenza delle cose, dell’anima contro il corpo, della debolezza e incapacità di amare contro la forza del pugno e la potenza dell’odio. Di fatto, quello che siamo chiamati a capire è che questa lotta non era contro i rappresentanti del regime comunista, né contro altre confessioni o nazioni vicine, ma, prima di tutto, si trattava di una lotta interiore, con la propria persona, o meglio, una lotta spirituale contro il maligno che provava in vari modi di staccare l’anima da Cristo e dalla grazia battesimale.
Questa è la buona battaglia che San Paolo l’apostolo raccomandava al suo figlio spirituale Timoteo: «Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni» (1Tim 6,12), come anche «Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro né di me, che sono in carcere per Lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo» (2Tim 8,9). Questa è la lotta che San Paolo, ha condotto lui-stesso fino alla fine, riassumendola in queste parole: «ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2Tim 4,7).
I. HO COMBATTUTO LA BUONA BATTAGLIA
Paradossalmente questa lotta costituisce una scelta personale che ogni anima potrebbe fare lungo la propria vita.
I Padri della Chiesa, veri maestri della vita spirituale, hanno guardato la vita terrena come una battaglia che avviene sul «campo di lotta» della nostra anima stessa, lì dove la volontà umana può scegliere, in ogni momento della propria esistenza, tra il rimanere con Cristo o no. La «buona battaglia» è in pratica una lotta portata a livello spirituale per conservare questa unità con Cristo in qualunque momento e circostanza della nostra vita, ai tre livelli dell’essere umano: pensieri, parole ed opere.
Questo costante esercizio spirituale richiede attenzione (recettività) e vigilanza per conservare sempre la «memoria Dei», come consigliava ai suoi monaci il Grande Basilio di Cesarea. Particolarmente vuol dire cercare di rimanere sempre sulla retta via, quella veritiera che porta alla Vita, che era la via seguita da Cristo e i suoi discepoli. Questa richiede al cristiano una vera battaglia spirituale contro ogni pensiero cattivo che potrebbe inserirsi nell’orizzonte dei pensieri, però, parimenti, avere un buon discernimento dei pensieri, tenendo accesa la fiaccola della fede (perché «le mosche non entrano nella minestra bollente!» diceva Sant’Efrem il siro). La continua vigilanza insieme alla grazia divina e alla preghiera, ci aiuta a portare avanti la lotta contro tutti i nemici, questa è la buona battaglia per custodire il tesoro ricevuto nel Battesimo, conservare lo stato della grazia santificante, la grazia della salvezza dell’anima e di conseguenza ereditare la vita eterna.
Ploscaru ha provato a rendere spirituale il tempo della prigionia e di conferire a questo tempo (in apparenza di coloro che erano senza Dio) la luce della santità. E’ una lezione spirituale da imparare: non solo vincere il male con il bene, ma anche trasformare il male, spiritualizzandolo, perché possa avere un effetto santificante sulla propria anima. Così lui è riuscito a oltrepassare i limiti umani della resistenza fisica, mantenendo l’anima lontana dal peccato. Considerando che tutto proviene da Dio, lui si è abbandonato sereno alla sua Volontà, ed è riuscito a vedere tanto nei suoi persecutori quanto nelle condizioni di detenzione gli strumenti della Volontà di Dio. Così scrive:
«Fui trasferito da solo nella cella 43, dove avrei passato, come in un “eremo”, i successivi due anni. Ero convinto che fosse la volontà di Dio. Arrivando da solo in cella, baciai la cella e le sbarre, offrendole a Gesù: “Al tuo posto, Signore!”. Feci un atto di offerta al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria: “Ora qui ci sarà la tua Chiesa, Gesù!”.
All’inizio cercai di non lasciarmi andare ai sogni, ma di accettare la volontà di Dio e di farmi un programma per non cadere nel pessimismo».
* si legge la poesia «Noi abbiamo scelto Te», Ioan Andrei (PS Ploscaru) *
Noi abbiamo scelto Te, Signore, quando i nemici ti misero le mani addosso,
quando il tuo sangue scorreva in mezzo al sudore
quando agonizzavi nel Getsemani,
quando sei stato venduto con un bacio…
Noi abbiamo scelto Te, Signore, non nel trionfo dell’Osanna
Neanche nello splendore della Resurrezione
Ma sotto il flagello quando insanguinavi la colonna
Quando cadevi sulla colonna del dolore.
Quando ti sputava in faccia, ridendo, un mondo intero
E consideravano la tua via una vergogna
Per noi è diventata allora ancora più cara,
noi allora ci siamo aggrappati a Te.
Quando ci hanno promesso dignità, soldi e libertà
Per accettare la rottura fatta dal Bisanzio
Noi abbiamo scelto fame, freddo e nudità,
con il deserto, la prigione e le catene.
Noi abbiamo scelto Te, Signore, non solo con la parola
Affascinati da una magia passeggera,
Ma quando eri morto e sigillavano la tua tomba
E il sigillo era custodito dalla guardia.
II. HO TERMINATO LA CORSA
Ci possono essere più vie che portano alla salvezza, ma attenzione: una sola è la via sicura, e questa via richiede di continuare la lotta, di fare delle scelte coerenti con il proprio ideale di vita cristiana e, in seguito, di prendere delle decisioni concrete in questo senso ogni giorno. Questo esige perseveranza, abbandono, disponibilità verso la Volontà divina e una più forte unione con Cristo, per compiere la volontà del Padre, nonostante i vincoli esterni, a cui il corpo è sottomesso.
Proviamo a immedesimarci in quello che Ploscaru descrive:
(Lettura da: Meditazioni in rima, di Ioan Ploscaru, da Catene e terrore)
La solitudine in cella non può essere compresa se non da chi l'ha vissuta. Se qualcuno ha una fantasia più vivace, gli propongo una piccola digressione.
Uno spazio completamente vuoto: solo un letto di ferro in un angolo, nessun altro mobile. Unicamente squallide pareti, screpolate e umide ... Un vetro opaco non lascia penetrare la luce naturale. Neanche un frammento di cielo: non puoi osservare, neppure per un attimo, il volo di un uccello ... Una lampadina giallognola, sempre accesa, schizza disegni sinistri che si ingigantiscono nella fantasia di chi è morto di fame, di colui che li guarda per lungo tempo. Non parli
con nessuno: silenzio di tomba. A un certo punto ti dimentichi anche come si faccia a parlare ...
Non sai niente del mondo, oltre la porta della cella. Non hai giornali, né libro né matita o pezzo di carta. Il possesso di una matita o di carta è un delitto che viene punito con giorni di carcere duro, con il pavimento allagato e, come cibo, pane e acqua una volta al giorno.
All'aria aperta sei condotto forse appena una volta alla settimana, se i guardiani sono disposti a sorvegliarti. I corridoi e il cortile devono essere deserti, perché non devi vedere o essere visto da nessuno. Anche se sei portato a fare una «passeggiata», sei obbligato a procedere a testa bassa e con le mani dietro la schiena ...
Non hai nome.
Dopo una settimana, un mese, un anno, hai dimenticato come sei, perché da tanto tempo non ti guardi allo specchio. Sei diventato un estraneo a te stesso. La fame, il freddo, la nudità ti hanno snervato; la solitudine e il tempo implacabile hanno fiaccato anche l'ultima speranza ...
«Quanto durerà ancora?», Puoi chiederlo a qualcuno? No; no!
Non sei considerato un essere che abbia diritto di sapere qualcosa: sei predestinato a sparire il più presto possibile.
Tuttavia l'organismo resiste, il subconscio lotta per la sopravvivenza.
A un certo punto, ti ammali, sei raffreddato, hai contratto una polmonite, la diarrea ... Ti trascini fino alla porta, bussi e chiami il medico ... Se viene, ti guarda con disprezzo; sembra voglia dirti: «Non hai ancora capito perché sei qui? Non sai che devi morire presto ... ?».
Con un sorriso beffardo, forse anche sadico, si allontana.
L'ultima speranza è svanita. Dormi su un letto rudimentale e freddo. A volte desideri che tutto finisca, tutto ...
In momenti così difficili, quelli che hanno avuto fede si sono salvati, chi non l'aveva ha cercato di suicidarsi.
Non è una descrizione esagerata: tutti quelli che sono stati in isolamento l'hanno provato ...
È molto importante collaborare con la grazia divina proprio in questa tappa difficile della perseveranza nel bene, quando il male sembra rafforzarsi. Il vero coraggio non sta nel non sentire fisicamente paura, ma proprio nell’essere capace di sconfiggerla, con l’aiuto dello Spirito Santo, e non soltanto una volta, ma ogni volta collaborando con la grazia ricevuta da Dio, nei momenti di prova. Il vero coraggio è nel fare quello che è giusto, secondo la giustizia divina.
III. HO CONSERVATO LA FEDE
Il combattimento spirituale portato avanti in varie circostanze del cammino della vita terrena, verso la mèta finale della salvezza dell’anima è un cammino di fede perché: «Senza la fede è impossibile essere graditi a Dio» (cf. Ebr 11,6). La fede è la “chiave” del cancello di entrata nella vita eterna, ma è anche lo scudo spirituale contro il nemico invisibile (cfr. Ef, 6,16).
Abbiamo sentito questa tremenda frase della testimonianza del vescovo Ioan Ploscaru: «in questi momenti difficili, coloro che hanno avuto la fede sono stati salvati, ma coloro che non avevano la fede hanno cercato di suicidarsi» . Praticamente lui ha capito che la loro sopravvivenza era legata strettamente alla loro fede. Perciò, era molto importante dare un senso concreto alla «sofferenza senza senso» delle prigioni, e il senso di questa sofferenza (e della loro vita) non poteva essere che quello ascendente, cioè verso l’alto, verso il Cristo crocifisso, che tramite la Sua Croce ha preso su di sé tutte le nostre sofferenze, trasformando il male del peccato con l’amore del Suo perdono in grazia. Per capire tutto ciò ci voleva una fede profonda.
Come si era manifestata concretamente questa lotta per mantenere la propria fede? Cerchiamo di individuare alcuni passi.
Prima di tutto il rifiuto di qualsiasi tentazione contro la fede tramite risposte ferme e chiare e senza equivoco. Dopo alcuni anni di prigione uno degli investigatori gli ha domandato se non volesse essere libero. Ploscaru ha risposto: “Io sono libero, siete voi che non siete liberi: perché io posso dire apertamente quello che penso…”.
S. E. Ioan Ploscaru riempiva il suo tempo di meditazione componendo testi di poesia a memoria e ripetendo ogni giorno quelle composte per mantenere sveglio il suo spirito. Lì nell’isolamento ha composto oltre 96 poesie che poi sono state pubblicate in un volume simbolicamente intitolato «Cruci de gratii» (Croci di sbarre).
Lettura da: Meditazioni in rima, di Ioan Ploscaru, da Catene e terrore
Dopo circa due mesi di isolamento, avvertii la necessità di trovare un'occupazione, un motivo per utilizzare il tempo, per uscire da quella inattività mortale.
Solo Gesù poteva aiutarmi e a Lui mi rivolsi nella preghiera. Avevo sempre pregato, ma ora ci voleva qualcosa di più. Il Salvatore mi dette la mano.
Un mattino, dopo che ebbi finito di recitare l’intero rosario – i misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi -, cercai di meditare la sacra Scrittura: una meditazione più profonda del solito. Contemplando quegli eventi, mi resi conto che, dalla fantasia stanca ed esausta per la fame, era germogliato un verso; poi un altro.
In quella cella umida e triste, nulla riusciva a generare un'emozione estetica, nulla poteva dare un'ispirazione poetica, eppure ...
Così cominciai a comporre versi. Avevo trovato un metodo per rimanere occupato per tutto il tempo, dimenticando lo stato miserabile in cui mi trovavo. Ogni mattina, dopo le solite preghiere, provavo qualche verso, intento a trovare una rima adatta, un'azione per completare l'argomento o modellare un'immagine. Dovevo sollecitare ad un tempo memoria e sentimento ... Non potevo neanche sognare un pezzo di carta o una punta di matita: mi sarebbe costato settimane nella «nera» con l'acqua sul pavimento ... Ma la «memoria-canovaccio» raccolse e stampò i versi, che poi ripetevo quasi ogni giorno, ogni pomeriggio.
Allora non pensavo che un giorno sarei tornato in libertà e che avrei potuto copiarli su un quaderno; non li ho composti perché fossero letti da altri. Li offrii solo a Gesù Salvatore e alla sua Santa Madre.
Il loro modo di comportarsi in prigionia, la forza della preghiera e della loro spiritualità hanno portato alla conversione non solo di alcuni dei loro compagni di prigione, ma anche di qualche guardiano e poliziotto delle prigioni. Di fatto, così come metaforicamente si diceva, questi «uomini di preghiera» sono riusciti a trasformare tramite la loro presenza le celle di prigione in cappelle di preghiera, il tempo di detenzione in tempo di esercizi spirituali e così tutta la loro vita in una «liturgia eucaristica» (opera per il popolo, offerta come ringraziamento a Dio).
La forza di abbandonarsi con fede in Dio, senza però sentirsi abbandonato, l’arte di lasciarsi totalmente nella volontà di Colui che già sapeva tutto, era la condizione essenziale contro il turbamento dello spirito; così testimoniava S. E. Ploscaru:
«In quei due anni di solitudine totale a Sighet, confesso di non essermi affatto annoiato. Con piccole interruzioni, passavo il mio tempo a meditare, a studiare la natura - quanto me lo permettevano le sbarre - e a comporre versi che ripetevo, per non dimenticarli, ma senza sperare di poterli un giorno scrivere.
Quando mi trasferirono insieme agli altri, quasi rimpiansi la solitudine e l'ambiente in cui ero vissuto in isolamento.
Vissi periodi di solitudine anche in altre prigioni e mantenni sempre il mio programma di preghiera e, nel tempo libero, altre rime apparivano e si fissavano nella memoria, riempiendo così il vuoto del mio isolamento.
Ma al di là di tutto questo, ho desiderato compiere la volontà di Dio, nel posto e nelle circostanze in cui Lui mi voleva. Questo abbandono alla volontà divina mi dette una pace serena e fiduciosa per tutto il periodo della mia detenzione» .
Bella questa frase come ideale di vita cristiana: «Ho desiderato compiere la volontà di Dio, nel posto e nelle circostanze in cui Lui mi voleva», forse ci sembra difficile, però è la chiave della vita di fede, cioè aver fiducia in ogni tempo ed in ogni luogo in Lui. Questa frase rappresenta anche la condizione essenziale per poter vivere in pace e serenità i tempi difficili della nostra vita terrena.
Poesia: «Abbandono », (Ioan Andrei, Croci di sbarre).
Quando hai voluto rafforzare la mia fede
Mi hai lasciato Gesù, nell’animo, la sofferenza
e il mio desiderio ardente dell’eterno amore
Tu nell’abbandono, lo hai purificato.
Quando gridavo, allo stremo del dolore:
“Ascoltami, Signore, dammi un segno!”,
nel vuoto delle volte solo l’eco risuonava
la pietra solo rispondeva, Tu, Signore, tacevi!
Quando mi sentivo al colmo dell’amarezza
e Ti chiedevo di allontanare, il calice, da me
sul filo di una spada e brace ardente
Tu mi chiedevi di salire lentamente, il Calvario.
Quando, sotto la croce, a fronte bassa
le labbra si muovevano chiedendo di morire,
non hai trovato angelo, né santo,
né Cireneo che me la portasse.
Quando, caduto come morto, contro le fredde mura
il cuore sommerso dal dolore
gridava verso il cielo: “Ho sete!”,
Tu hai aggiunto solitudine e buio...
Per poi vedere, dalla strada illuminata
col passare della lunga notte,
che sulle spalle la Croce, Tu portavi
al fianco mio, tenendomi per mano.
Conclusione
Abbiamo cercato di non fermarci solo allo straordinario, ma di trovare oltre le apparenze la motivazione spirituale più profonda del vescovo Ploscaru, che con la sua vita ci hanno mostrato la sua fede.
Durante il periodo degli anni della persecuzione il Romano Pontefice, allora Papa Pio XII indirizzava una lettera apostolica ai «venerati fratelli e cari figli vescovi, al clero e al popolo di Romania, che è in pace e comunione con la Sede Apostolica di Roma», nella quale stimava che questi testimoni della fede rinnovano lo splendore della Chiesa primaria e perciò, «noi desideriamo baciare le catene di coloro che imprigionati ingiustamente, piangono e si rattristano più per gli attacchi contro la religione, del crollo delle istituzioni sacre per la salvezza eterna minacciata del loro popolo, che delle proprie sofferenze e della loro libertà persa» .
Nella grande folla delle anime vestite con le bianche vesti del martirio e dei testimoni del XX secolo, brillano i nomi illustri dei nostri vescovi Vasile Aftenie, Ioan Balan, Valeriu Traian Frentiu, Tit Liviu Chinezu, Ioan Suciu, Alexandru Rusu e il Cardinale Iuliu Hossu, «la testimonianza del loro martirio, della loro fede in Cristo e nell’unità della Sua Chiesa, si innalza come sacro incenso del sacrificio vespertino, verso il trono divino nel nome di tutta la Chiesa, di cui gode onore e devozione» , scriveva con venerazione il Beato Pontefice Giovanni Paolo II. Il processo di canonizzazione dei nostri gerarchi si trova già in corso di conclusione alla Congregazione per le Cause dei Santi, in Vaticano.
Alla fine, possiamo capire meglio la definizione che Beato Giovanni Paolo II dava al martirio come esperienza di vita spirituale spirituale: «il martirio è prima di tutto una forte esperienza spirituale che nasce da un cuore che ama il Signore come verità suprema e massimo bene, a cui non si può rinunciare» .
Ecco allora il compito nostro, di coloro che oggi desiderano continuare la buona battaglia per custodire il tesoro della fede e trasmetterlo anche alle generazioni future. Prima di tutto provare a conoscere bene la testimonianza dei precursori nella fede, come raccomandava il Beato Giovanni Paolo II: «conservate carissimi nei vostri cuori, la viva memoria del martirio per trasmetterla alle generazioni future, perché continui a ispirare una testimonianza cristiana sempre più generosa ed autentica» e, in seguito, educare le nuove generazioni in conformità con questi princìpi di vita spirituale: «educate i giovani in uno spirito di ideali audaci che sono tipici dei figli dei martiri; educate i vostri figli a respingere le facili illusioni del consumismo, di rimanere nella propria terra per costruire insieme un futuro di prosperità e di pace» .
Possiamo affermare che questo è stato uno degli obiettivi di questa presentazione, nello spirito della Lettera agli Ebrei: «Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio. Considerando attentamente l'esito finale della loro vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre!» (Ebr. 13,7-8), a Lui sia l’onore, la gloria e l’adorazione per tutti i secoli dei secoli. Amen!
Grazie per la vostra pazienza!
+Florentin
Vescovo di Cluj-Gherla