11 Septiembre 2023 09:30 | Akademie der Wissenschaften
" Bisogna preservare la dignità della società attraverso il trattamento dei prigionieri poiché le condizioni di vita all’interno delle carceri sono lo specchio della qualità della società stessa. Troppo spesso, il prigioniero non è considerato dall’opinione pubblica come una persona che ha commesso un errore e che può cambiare, ma semplicemente come un colpevole" riflette Dede, magistrato di sorveglianza in Costa d'Avorio
Buongiorno,
Vorrei innanzitutto ringraziare per l’invito che mi è stato rivolto a partecipare a questa tavola rotonda. Sono un magistrato nel mio Paese da dieci anni. In questi anni, sono stato a stretto contatto con l’ambiente carcerario e, visitando le prigioni, sono stato testimone delle sofferenze dei detenuti ma soprattutto del fallimento del nostro sistema giudiziario che non ha saputo mantenere le sue promesse per molto tempo.
Infatti, i problemi delle carceri in Costa d’Avorio, e in generale in Africa, sono numerosi e gravi. Vorrei citarne qualcuno
il sovraffollamento delle carceri (la Costa d’Avorio ha una popolazione carceraria di 21000 persone a fronte di una capienza di 10500 posti suddivisi tra i 35 istituti penitenziari. Nel carcere della città dove opero, nel nord del Paese, il tasso di occupazione delle celle varia tra il 300 e il 400 %);
questo sovraffollamento ha come conseguenza un’alimentazione insufficiente e di cattiva qualità per i detenuti. Alcuni direttori di carcere, con cui intrattengo scambi costanti, si lamentano del fatto che il budget nazionale per l’alimentazione dei detenuti è praticamente lo stesso da molto tempo mentre il numero di detenuti continua ad aumentare. Nelle nostre carceri si registrano molti casi di malattie dovute alla cattiva qualità del cibo. Ci sono stati numerosi casi di beriberi (carenza di vitamina B) al punto da determinare il decesso dei detenuti;
il cospicuo numero di carcerazioni preventive sul totale delle detenzioni e i periodi di carcerazione sono molto lunghi. E’ un problema che riscontriamo soprattutto in materia penale. La durata della carcerazione preventiva in questo campo è fissata a un massimo di 24 mesi. Tuttavia tra l’inizio della detenzione e il processo davanti al tribunale penale possono passare facilmente 3 o 4 anni e non è raro che alcuni siano giudicati dopo 5 anni. E quel che è peggio, queste persone nella stragrande maggioranza non sono assistiti da un avvocato che nella fase finale, cioè al momento del processo;
per le persone condannate ci sono pochissimi strumenti per favorire la risocializzazione e le misure alternative non vengono applicate.
Questa constatazione di fallimento ci interroga: quale può essere la causa di tali problemi? Bisogna cambiare approccio, preservare la dignità della società attraverso il trattamento dei prigionieri poiché le condizioni di vita all’interno delle carceri sono lo specchio della qualità della società stessa. Basta considerare che, troppo spesso, il prigioniero non è considerato dall’opinione pubblica come una persona che ha commesso un errore e che può cambiare, ma semplicemente come un colpevole (anche se innocente). Di conseguenza, per riprendere il titolo del nostro forum, spesso esiste soltanto il primo termine “fallimento”, niente “resilienza” né “speranza”. Anche per un piccolo furto, per il quale si rischia spesso di essere linciati. Bisogna passare a una nuova cultura che prenda in considerazione la persona.
A questo scopo può essere di grande aiuto anche la modalità di funzionamento della giustizia. Per facilitare il cambiamento, bisogna riformare il meccanismo giudiziario che è ancora troppo legato alla carta e soprattutto alla gestione manuale delle procedure (soprattutto quelle penali). Questo, unito alla complessità di alcuni casi e alla molteplicità delle persone coinvolte, produce gravi conseguenze – ritardi ingiustificati nella gestione delle procedure e, soprattutto, pratiche di detenuti che vengono perse o dimenticate.
Lo scorso aprile, il Ministro della Giustizia ha reso noti i risultati di un’ispezione, più di 600 pratiche dimenticate nei guardaroba degli uffici istruttori, di cui una buona parte riguardavano dei detenuti per i quali i termini di detenzione erano ampiamente scaduti.
E’ di fondamentale importanza che si facciano delle riforme volte a trovare alternative al carcere, a creare e costruire nuove giurisdizioni, a incrementare il personale giudiziario, ecc. Ci vuole evidentemente una volontà di cambiamento. Si può dire che l’attuale sistema di funzionamento della giustizia, fondato esclusivamente sul fattore manuale, fallisce nel proteggere sufficientemente e far rispettare la dignità dei cittadini che hanno violato la legge.
Bisogna dunque ripensare il funzionamento della giustizia attraverso l’integrazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella gestione delle procedure giudiziarie, a partire dalle unità investigative, polizia, gendarmeria, ecc., fino alle pene alternative per le persone condannate.
La digitalizzazione della giustizia rappresenta una speranza che può servire anche come contrasto alla corruzione perché offre numerose possibilità di ottimizzazione del meccanismo giudiziario. Esistono già degli strumenti digitali efficienti in uso o in sperimentazione per:
la messa in rete di tutti gli attori della catena informativa e decisionale in campo giudiziario e l’automazione degli atti procedurali per ridurre considerevolmente il tempo necessario alla gestione dei casi, assicurare il procedere, la qualità e la trasparenza delle procedure evitando cosi la mercificazione della giustizia;
i processi in videoconferenza e l’assistenza legale a distanza dei detenuti da parte degli avvocati che hanno enormi difficoltà a spostarsi nelle zone più remote del Paese;
l’informazione giuridica e giudiziaria ai detenuti per renderli consapevoli sullo svolgimento del loro caso e sui diritti riconosciuti dalla legge;
la formazione online dei detenuti nelle prigioni (alfabetizzazione, formazione professionale, continuazione degli studi) laddove non sia possibile svolgerla in presenza;
la facilitazione dei contatti dei detenuti con le loro famiglie (richieste di colloqui online nell’impossibilità dei colloqui in parlatorio, invio della corrispondenza, ecc.);
seguire in tempo reale le procedure penali e l’evoluzione della popolazione carceraria per adattare costantemente le politiche penali.
Voglio concludere dicendo che il futuro della giustizia sta in un approccio più umano ala questione giudiziaria e alle condizioni di vita, spesso penose, dei detenuti in Costa d’Avorio. Bisogna pensare a tutte le risorse disponibili a partire dalla presenza degli assistenti sociali alla formazione delle guardie carcerarie. La digitalizzazione può aiutare quella che chiamerei una “rivoluzione umana” della giustizia. Molti paesi europei l’hanno capito e cominciano o proseguono la modernizzazione dei loro apparati giudiziari con l’introduzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
In Africa la digitalizzazione dei sistemi giudiziari appare ancora più decisiva in quanto più rilevanti sono i problemi strutturali.
Anche se questa via non è molto conosciuta, alcuni paesi africani cominciano a intraprenderla. Da qualche tempo ci sono progetti che vengono realizzati in Ciad e nella Repubblica Democratica del Congo dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo e da alcune società private. Bisogna dunque incoraggiare e far conoscere queste iniziative e soprattutto chiedere agli Stati, ai finanziatori e altri partner privati, di investire massicciamente nella riforma della giustizia nei Paesi africani. Ciò potrà aiutare anche le società nel loro complesso a divenire più umane e ad aggiungere finalmente alla parola “fallimento” le parole “resilienza” e “speranza”. Grazie