Buongiorno a tutti, io sono Didi Talwalkar. Spero che tutti voi siate contenti di questo convegno come lo sono io. Quando la parola “donna” si trova accanto alla parola “pace”, molti alzano le sopracciglia perché si tende a pensare che queste due parole non possano stare insieme. Ma io sono qui per dire che questa donna è felicemente e serenamente sposata da 43 anni (… con la stessa persona); sono impegnata fin dall’adolescenza ed ora dirigo una famiglia divina in continua crescita che diffonde pace e felicità in modo disinteressato a milioni di persone nel mondo, e questo da più di 70 anni.
“Le donne e la pace”, il tema del nostro panel, è costituito da due vocaboli indipendenti uniti da una particella, “e “. Oltre a svolgere il ruolo di congiunzione, questa particella apparentemente non sembra avere altro significato. Che esse siano sinonimi o contrari, che le donne possano costruire la pace oppure distruggerla, è davvero difficile affrontare l’argomento. Allo stesso tempo, questo ci permette di spaziare nella mia personale interpretazione e immaginazione. Possiamo pensare a diverse angolazioni da cui guardare queste parole. E’ evidente che la parola “e” unisce due parole. Cercherò di mettere in relazione queste due parole a partire dal loro significato.
Per comprendere l’argomento, pensiamo alle diverse interpretazioni che si possono dare all’unione di queste due parole:
• Donne “private della” pace
• Donne “assetate di” pace
• Donne “in cerca di” pace
• Donne “che lottano per” la pace
• Donne “in “ pace
• Donne “per” la pace
Tutte queste opzioni e altre ancora possono valere implicitamente come significato del nostro tema: le donne e la pace.
Consideriamo per un momento la parola “pace”
Come si definisce la pace?
Come si raggiunge la pace?
La pace non è una condizione esterna e neppure può essere creata o raggiunta mediante un intervento esterno. La pace è uno stato mentale di tranquillità assolutamente interiore, psicologico, intellettuale che non viene influenzato da alcun genere di circostanze o forze esterne. In uno stato mentale di pace non si è disturbati neppure nelle situazioni estreme più turbolente. Ecco perchè la pace è tanto ricercata ed attrae tutti.
L’assenza di violenza o di conflitto da sola non si può chiamare “Pace”. Proattivamente la “Pace” significa “amare e ricevere amore”. La pace stimola lo sviluppo armonioso. La pace porta alla felicità e all’illuminazione. Per la maggior parte di noi, parrebbe quasi impossibile raggiungere questo stato mentale, intellettuale e individuale. Possiamo solo restare ad aspirare alla pace. Tuttavia, possiamo certamente pensare a una via, a un processo per ottenere questo stato interiore sulla base dell’ispirazione e della guida che troviamo nei Veda e nelle Upanishad (le sacre scritture indiane) e nella Bhagavadgita del Signore Krishna. Mi baserò sul commento alla Gita di mio padre, il Venerabile Pandurangshastri Athavaleij.
I desideri mondani, le passioni e le ambizioni sono il propellente della nostra vita e la rendono dinamica. Desideri e passioni non soltanto “per essere”, ma anche “per diventare”. “Diventare istruiti, ricchi, rispettati dalla società” e “possedere ogni genere di ricchezza materiale”. Sono all’origine delle nostre azioni per “essere qualcosa”, “fare qualcosa”, “ottenere qualcosa”, “creare qualcosa”, “sviluppare qualcosa”, “possedere qualcosa”. Tutto ciò ci mantiene vigili e sostiene il dinamismo e l’impulso della vita. Tuttavia, in questo processo, noi diventiamo insofferenti, irrequieti, impazienti, egoisti, insoddisfatti, egocentrici, gelosi, indifferenti, avidi, violenti, ecc., e perdiamo totalmente la pace, e questa spinta inarrestabile continua all’infinito.
Per comprendere, analizzare e regolare i nostri schemi di pensiero e di comportamento, è necessario saper andare alle radici del nostro pensiero, intelletto e del nostro io. Se riusciamo a controllare e a regolare i nostri desideri e le nostre passioni, sapremo raggiungere uno stato di appagamento, pace e tranquillità.
Anche la pace può essere classificata in modi differenti a partire dalla sua fonte originaria.
• Pace generata dalla paura e dal dolore di perdere i nostri cari
• Pace generata dalla disperazione dovuta alla nostra incapacità
• Pace generata dall’ignoranza. Nessuno è ancora andato su Marte e così, se io non ci sono andata, io sono in Pace. Nessun problema. Ecco perché si dice che dove l’ignoranza è beatitudine , è folle essere saggi.
• Pace generata dalla sazietà. Per esempio, la sazietà dopo aver mangiato. Questa pace, però, è temporanea e la perdiamo di continuo perché la fame ritorna regolarmente.
• Pace generata dalla conquista di una conoscenza completa e dal controllo dei nostri sensi , del pensiero, dell’intelletto e dell’Io. Persone come il Signore Gesù Cristo, il Signore Krishna, il Signore Buddha e Mosè hanno raggiunto questo stato
Si può parlare a lungo di ciascuno di questi tipi di pace, ma non è questo il nostro tema principale.
Noi ora parliamo di Pace, ma quello che vediamo ovunque oggi è l’assenza di Pace. Oggi vediamo che quasi tutti sono rivolti verso la ricerca cieca di questo o di quell’altro, che si chiami ricchezza, status o potere. Queste persone sono destinate a perdere la pace. Mentirebbero se si vantassero di essere felici e in pace nella loro vita. La ricerca insensata anche soltanto di uno di questi beni nella vita, è capace di causare notti insonni ; basta immaginare la condizione di coloro che le possiedono tutt’e tre, o che aspirano a tutt’e tre. Come qualcuno ha detto, “ è tormentato il capo di chi indossa la corona”.
La questione è come connettere la pace e le Donne. E addirittura se sia opportuno connettere pace e donna.
Il valore e il potere delle donne è evidente fin dal periodo dei Veda in India. A quel tempo si pensava che le donne fossero organismi viventi come gli uomini e parte della coscienza cosmica. Eppure, oggi gli studiosi occidentali e persino i filosofi fanno prediche agli Orientali (compresi gli indiani) su come trattare le donne con uguaglianza e su come assicurare la dignità della donna. Forse queste stesse persone un tempo sono state brutali nei confronti delle donne, persino vendendole come schiave. Questi cosiddetti studiosi trattavano le donne come una proprietà collettiva. La donna non è un oggetto, è una persona, un essere vivo e palpitante.
Una donna è prima di tutto una donna, prima di essere figlia, sorella, moglie o madre. La donna deve incarnare le qualità di stabilità, lealtà, tenerezza, devozione, amore e affetto ecc., e l’uomo deve incarnare la mascolinità, il coraggio, ecc. quando questi due insiemi di qualità si uniscono nell’unione sacra del matrimonio, essi pongono basi solide per una famiglia e una società in pace e prospere.
Solo quando la donna ha voluto diventare uguale all’uomo, la concezione di essa basata sui valori è regredita, e la donna è diventata un oggetto di piacere. La cosa più dolorosa è il fatto che la donna ha accettato quella posizione. Una vita fondata sui valori si è abbassata al materialismo. L’oscenità ha superato ogni limite. Come possiamo considerare tale situazione segno di una “buona società” o di una “società sviluppata”?
Oggi la donna si sente un essere svuotato, svuotato di amore e di rispetto e, di conseguenza, di pace. Il risultato è che la donna è diventata ribelle e pretende con determinazione il rispetto e la pace. Se non riesce ad ottenerli, è capace di lottare per essi. Se consideriamo la storia della civiltà umana , vediamo che le donne hanno giocato un ruolo dominante in tutti i conflitti e le rivoluzioni. Similmente, vediamo che la donna è anche capace di costruire la pace. Questa capacità riflette le sue qualità interiori e la sua indole risoluta.
Oggi parliamo del ruolo delle donne nella pace, quando mio padre aveva già compreso le qualità femminili a metà del secolo scorso. Egli era convinto che, se la comprensione della presenza immanente di Dio nel cuore dell’uomo e la relazione della Potenza Suprema di Dio con l’essere umano diventano patrimonio di una donna , essa può fare miracoli. Indipendentemente dalla sua condizione sociale, che sia istruita o meno, ricca, povera, che viva in città o in campagna, ben integrata o emarginata, essa vivrà e farà vivere tutta la sua famiglia con dignità, e le permetterà di crescere e prosperare.
Mio padre fondò la Swadhyaya all’inizio degli anni quaranta del secolo scorso. Fin dai primi anni, le donne hanno avuto un ruolo trainante nella Swadhyaya e collaborano con tutti. Dopo più di 70 anni
• 400.000 donne partecipano alle kendras Mahila (riunioni settimanali)
• 225.000 donne si recano regolarmente in pellegrinaggio (bhaktiferi, bhavferi)
• 37.000 donne guidano le Bal Sanskar Kendras (lezioni di cultura per i bambini) a cui partecipano circa 500.000 bambini.
• 180.000 donne lavorano volontariamente negli esperimenti socioeconomici basati sulla devozione, ispirati da mio padre, il Venerabile Pandurangshastri Athavale , condotti sotto l’egida della Swadhyaya .
A partire dalla mia esperienza nella Swadhyaya, posso dire che la filosofia unita a un duro lavoro, a uno sforzo incessante, possono cambiare la percezione che si ha delle donne, e che le donne hanno di sé stesse.
Come aggiunta, vorrei dire che ogni interpretazione della Swadhyaya non sarebbe completa senza citare mia madre, che è stata amorosamente al fianco di mio padre dai primi giorni della Swadhyaya fino al suo ultimo respiro.
E per concludere, se vi capiterà di venire in India, vi invito a spendere un po’ di tempo per visitare e sperimentare la trasformazione personale che sta cambiando il volto dei villaggi e delle città in cui è presente la Swadhyaya.