16 Septiembre 2019 17:30 | Sala Ramón Gómez de la Serna, Círculo de Bellas Artes
Intervento di Riccardo Gatti
Ringrazio la Comunità di Sant’Egidio e l’Arcidiocesi di Madrid per aver organizzato un congresso che ritengo di somma importanza.
Il titolo “Peace with no Borders” racchiude l’essenza di due parole che difficilmente si sono potute affiancare negli ultimi anni: la pace e le frontiere.
Mi chiamo Riccardo Gatti, rappresento qui l'ONG Open Arms, i volontari e le volontarie che collaborano con noi e tutte le persone che lavorano nell’ong.
Ricopro il ruolo di capomissione a bordo della nave Open Arms, spesso anche come comandante del veliero Astral ed inoltre, sono anche presidente dell'Associazione Open Arms Italia.
Open Arms è nata nel 2015 in Grecia, a Lesbo, per far fronte a una delle più drammatiche emergenze umanitarie del nostro secolo. Da allora, abbiamo salvato circa 60 mila persone e portato a termine 65 missioni nel Mediterraneo Centrale, e dopo quasi due anni nel mar Egeo.
il nostro obiettivo era (e continua ad essere) che le persone non muoiano in mare nel tentativo di raggiungere un posto sicuro;
Proteggiamo i loro diritti, primo fra tutti il diritto alla vita, e denunciano le violazioni in mare degli stessi loro diritti.
Raggiungere un porto sicuro vuole intrinsecamente dire attraversare frontiere reali o, a volte, immaginarie.
Quando abbiamo iniziato a operare nel settembre 2015, ci siamo immediatamente rese conto che vi era un vuoto prodotto dall'assenza di un'azione coordinata dell'UE nel campo del salvataggio in mare, un vuoto nella protezione della vita delle persone che cercavano di raggiungere le coste europee nella ricerca di migliori condizioni di vita.
Abbiamo inoltre assistito alla mancanza di un'azione decisa e diretta nella difesa e protezione dei loro diritti.
Già da allora ci siamo resi conto che enormi abusi stavano avvenendo, perpetrati delle istituzioni nei confronti delle persone migranti e, inoltre, anche nei confronti di chi difende i diritti di questi, come per esempio noi organizzazioni non governative.
Siamo stati testimoni dell’accordo con la Turchia-UE attraverso il quale si é cercato di erigere un muro invisibile con l'obiettivo di esternalizzare le frontiere invece di salvaguardare e proteggere le persone e i loro diritti.
È purtroppo risaputo che la creazione di questa “barriera” tra la Turchia e l’Europa, come tra la Spagna e il Marocco, crea situazioni di gravi violazioni dei diritti delle persone, sono state documentate violenze e condizioni disumane sia da una parte che dall’altra di questa “frontiera”.
Se cediamo ad ragionare le frontiere in questo modo non stiamo dialogando e, senza dialogo, non esiste pace alcuna.
Nel 2016 noi di Open Arms abbiamo dato il via al progetto di soccorso in mare anche nel Mediterraneo centrala, grazie alle nostre navi Astral prima e Open Arms poi.
Come dicevo, ci eravamo ritrovati nel Mar Egeo a colmare un vuoto lasciato dalle istituzioni per ciò che riguarda la protezione della vita umana in mare e la stessa situazione abbiamo visto come si è ripresentata una volta arrivati nel Mediterraneo Centrale. Voglio ricordare che dopo l'operazione "Mare Nostrum" del governo italiano conclusa nel 2014, nessuna operazione coordinata in materia SAR (ricerca e salvataggio) è stata creata e organizzata da alcuno Stato membro dell'UE.
In quel momento, nel Mediterraneo centrale, solo la guardia costiera italiana si occupava delle operazioni SAR.
Quando le ONG abbiamo iniziato ad operare nel Mediterraneo centrale, grazie al coordinamento, direzione e collaborazione della Guardia costiera italiana si é potuto costruire una "operazione di salvataggio internazionale informale", contando con 12 diverse navi di ONG.
A partire dalla prima metà del 2017 tutto ciò che qui espongo è stato gradualmente distrutto.
Lentamente, ci siamo trovati di fronte alla distruzione della struttura delle operazioni coordinate di salvataggio e attualmente lo scenario a cui le organizzazioni non governative della SAR si trovano di fronte è fortemente ostile ed è stato così negli ultimi due anni e mezzo.
Non c'è supporto attivo da parte delle autorità, nemmeno quando si tratta di ricevere informazioni riguardo a persone che corrono rischi per la propria vita.
Dall'inizio dell'autoproclamata zona SAR libica, le normali procedure di salvataggio in mare sono ora ampiamente distorte.
I doveri che dovrebbero essere rispettati dalle autorità e che dovrebbero portare a far si che si ottimizzino le risorse per portare a termine i soccorsi nel più breve tempo possibile con lo sbarco delle persone soccorse in un luogo sicuro, non vengono rispettati.
Prova ne sono le lunghe attese prima che venga dettato un porto sicuro alle quali le persone soccorse sono sottoposte e di cui ne subiscono la violenza al dover rimanere per lunghi periodi a bordo delle nostre navi prima di poter essere sbarcate in un luogo sicuro.
Le politiche di disprezzo della vita umana hanno troppo spesso, purtroppo preso il sopravvento.
Ripeto le parole di Papa Francesco riguardo alla responsabilità di ogni persona per la tragedia dell’olocausto, ricordate ieri durante l’atto di apertura dal Rabbino Israel Meir Lau: “Dove eravamo? Dove eri tu? Dove ero io?”
Queste parole mi hanno toccato nel profondo: ogni volta che permettiamo che la violenza prenda il sopravvento, sotto ogni forma possibile, ogni volta che permettiamo che la pace non avanzi a passi fermi e sereni, dobbiamo chiederci: dove sei? Dove sono io?
Nel Mediterraneo Centrale il processo di esternalizzazione delle frontiere che da anni viene portata a termine ha portato alla creazione della cosiddetta Guardia costiera libica, di dubbia provenienza, adesso incaricata, con l’appoggio e l’aiuto delle forze militari italiane ed Europee di intercettare le imbarcazioni nel Mediterraneo Centrale e riportarle in Libia, luogo nel cuale la vita delle persone corre un concreto rischio.
Si è cercato di creare un’altra frontiera e non regna la pace, ancora una volta, né da una parte né dall’altra.
Il numero di organizzazioni non governative in mare è diminuito drasticamente e ognuno di noi ha potuto assistere a molteplici azioni abusive e repressive che superano le procedure di controllo regolamentari previste dalle normative, ed è facilmente dimostrabile la campagna di criminalizzazione a cui le ONG sono state sottomesse, soggette ad attacchi e diffamazioni da parte di mezzi di comunicazione di massa o da parte di esponenti politici, con il palese obiettivo di creare una narrativa falsa ed evitare il dissenso.
Si è instaurata una dinamica di abusi istituzionalizzati, ripetuti e rimasti totalmente impuni.
- Ci sono stati attacchi armati in mare da parte della cosiddetta Guardia costiera libica. la stessa che ha causato un numero imprecisato di morti. Una sorta di istituzione che continuamente finanziata dagli stati dell'UE. Circa 15 giorni fa l’ultima azione violenta: spari contro pescherecci italiani.
- Vi sono stati blocchi nei porti, attraverso i quali le navi umanitarie sono state detenute senza una base normativa o un decreto.
- Vi sono state restrizioni all'accesso ai porti italiani prima senza alcun decreto ministeriale o comunicazione ufficiale, poi attraverso decreti e leggi che violano le convenzioni internazionali e il diritto marittimo.
- abbiamo visto la sistematica negazione di fornire il soccorso richiesto dalle nostre navi in stand-by forzato con le persone a bordo, portando a lunghe attese per sbarcare le persone in un porto di sicurezza e il tragico aggravarsi delle loro condizioni conseguentemente all’attesa
- Vi sono state azioni penali e indagini da parte di numerosi pubblici ministeri italiani che, però dopo anni, non hanno portato ad accusa alcuna, dimostrando l’estraneità da parte delle ONG’s riguardo ad azioni illegali
- Siamo stati anche testimoni del blackout di informazioni su ciò che sta realmente accadendo ai migranti sia nel Mar Mediterraneo che in Libia.
E poi, con la fine parziale dell'operazione militare Sophia dell'UE, spesso le uniche unità navali nelle zone interessati sono i mercantili e i pescherecci, che si sono trovati quindi coinvolti in operazioni di salvataggio marittimo; sono stati poi costretti a violare convenzioni internazionali e i diritti umani al riportare le persone salvate in Libia.
- pochi giorni fa finalmente è stato permesso lo sbarco delle 82 persone a bordo della Ocean Viking in forza alle ONG’s Sos Mediterranee e MSF, dopo pero la prolungata attesa di 6 giorni alla deriva.
- Permettetemi ricordare che fino a poche settimane fa la nostra nave Open Arms era nella stessa situazione, bloccata in mare da 20 giorni con più di 150 persone a bordo che si sono viste negate ripetutamente da parte del governo italiano e maltese le richieste di sbarco, una situazione che ha peggiorato le condizioni delle persone soccorse a bordo ed aggravato la loro sofferenza.
Dopo lo sbarco dettato d’urgenza dalla procura siciliana della città di Agrigento, la nostra nave è stata messa sotto sequestro preventivo per poter così raccogliere le prove che mettono in evidenza tutte le irregolarità compiute dalle varie autorità politiche ed amministrative italiane; la ONG è parte lesa nelle indagini che sono state aperte volte a trovare i responsabili dell’aggravarsi delle condizioni psicofisiche delle persone come conseguenza della lunga attesa in mare prodotta dalla proibizione di sbarco.
Voglio ora sottolineare inoltre una chiara importanza della presenza di ONG in mare, che permette a cittadini e cittadine conoscere ciò che sta accadendo, dei soccorsi e dei respingimenti e, purtroppo, anche delle morti.
Proteggiamo per presenza perché quando siamo in mare non solo seguiamo le leggi e difendiamo i diritti umani, ma costringiamo tutti gli attori presenti a farlo.
In effetti, attualmente è impossibile sapere con certezza quante persone muoiono o quante sono intercettate e riportate in quei campi di concentramento che continuano a essere chiamati di "detenzione". L'UNHCR ha denunciato pubblicamente violazioni estreme dei diritti umani in Libia, e ieri l’alto commissario Filippo Grandi lo ha ribadito.
Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha dichiarato dopo aver visitato i centri di detenzione in Libia “Sono profondamente scioccato e commosso dalla sofferenza e dalla disperazione che ho visto nel centro di detenzione di Tripoli, dove migranti e rifugiati sono in detenzione per un tempo illimitato e senza ogni speranza di riguadagnare la vita”.
Sfortunatamente, le condizioni delle persone a terra che vivono nelle strade o nei campi in diversi luoghi d'Europa, come in Grecia, Bosnia, Italia, Spagna, sono vergognose e inaccettabili.
Non possiamo accettare affatto questo tipo di violenza sull'essere umano.
Sono situazioni in cui la creazione di barriere al movimento delle persone, di frontiere che si vorrebbero invalicabili, creano come diretta conseguenza il pericolo, gli abusi, le violenze e le morti.
Quindi, dobbiamo concentrarci sulle persone che stiamo cercando di aiutare: 71.000.000 come ancora ieri Filippo Grandi ha ricordato essere il numero di persone migranti e che si muovono oggigiorno in cerca di un futuro migliore.
Per raggiungere una reale e fattibile gestione in terra dei flussi migratori non si può utilizzare gli strumenti della violenza, del pericolo e della morte come deterrenti.
Dobbiamo creare strumenti di pace.
Come ha esordito ieri l’arcivescovo di Madrid Carlos Osorio Sierra, “l’essere umano è senza frontiere”
Noi di Open Arms siamo certi che questo momento passerà, ma riteniamo fondamentale continuare a immaginare momenti di confronto che mettano al centro il tema del rispetto del diritto internazionale, della vita e della dignità delle persone e che possano essere di stimolo per trovare soluzioni strutturali che tutelino gli uomini, le donne e i bambini che fuggono da violenza, guerre e persecuzioni.
Muoversi, viaggiare, emigrare in questo mondo non è possibile per tutte le persone in modo uguale. Non è un diritto reale, seppur sancito dalla “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”.
Se non è un diritto per tutti e tutte vuol dire che è un privilegio, e di per sé i privilegi si basano su soprusi degli uni sugli altri.
I soprusi sono la base di ciò che sta all’esatto opposto della Pace: la violenza.
Le persone che migrano fuggendo da situazioni difficili, quelle salvate sia in mare sia in terra, purtroppo troppo spesso non sono trattate come soggetti aventi diritto, sono criminalizzate.
Come società degna di chiamarsi civilizzata, realtà come quelle di Moria, Ventimiglia, Calais, il Mediterraneo Centrale, le concertine di Ceuta e Melilla, le violenze contro le persone migranti, gli spari e i respingimenti collettivi ed ancora tutte le persone bisognose lasciate in balia della loro sorte, non sono realtà accettabili né giustificabili.
Noi, come difensori dei diritti umani, abbiamo bisogno del sostegno della società civile. Dobbiamo pretendere politiche che mettano gli esseri umani al centro delle decisioni, economiche, sociali.
Abbiamo bisogno di sforzi politici e non possiamo accettare ritardi o scuse riguardo a ciò che ha a che vedere con il rispetto alla vita e alla dignità umana
Infine, pretendiamo fortemente il rispetto delle leggi e delle convenzioni internazionali.
Abbiamo preso una decisione quando la nostra ONG ha iniziato a operare 4 anni fa: abbiamo detto che non ci saremmo fermati fino a quando non ci fosse vita alla deriva. E non lo faremo.
Continueremo con la nostra promessa fintanto che avremo il sostegno di questa parte della società che difende i diritti umani. Che pretende che la Pace non conosca frontiere.
C’è bisogno di chiarezza su ciò che succede nelle nostre frontiere; è responsabilità inderogabile dei mezzi di comunicazione il fornire informazioni veritiere, obiettive, mai soggette a intenzioni volte al raggiungimento di obiettivi che non siano la presentazione chiara della realtà, che aiuti alla creazione di una proficua visione libera delle cose e con ciò un senso critico di decisione che crei libertà.
Dobbiamo riuscire a creare vie sicure di movimento per le persone, specialmente per le più bisognose. La comunità Sant’Egidio può dare esempio della pratica reale di come ciò è possibile. E per questo vi ringraziamo!
Bisogna fermare la dinamica in cui le ONG continuano ad essere sotto attacco e criminalizzate: a giorno d’oggi è stato ampiamente documentato e dimostrato dalle diverse indagini, commissioni di inchiesta, studi universitari e giornalistici come non vi sia ombra alcuna sul nostro operato.
Bisogna garantire uno sbarco rapido e fluido delle persone soccorse in mare, bisogna ricordare che l’operazione di soccorso si conclude una volta che le persone vengono sbarcate in un luogo sicuro dove tutti i loro diritti vengano salvaguardati.
Il sistema di ricollocamento da parte degli stati membri della UE deve perciò essere anch’esso normalizzato, fluido e sistematico.
Bisogna affrontare il discorso migratorio con normalità e gioia.
Perché se ripensiamo le frontiere come qualcosa che serva a far si che chi sta “dentro” impari a veder crescere dentro di sé lo spirito necessario di solidarietà, di giustizia, di rispetto che porta a sentire obbligo naturale l’aiutare chi sta “fuori”, chi vuole “entrare”, e che non viene a “invadere” ma bensì viene a dire “aiutami: qui dentro si sta bene; aiutami a stare bene” potremo saper rispondere “stiamo bene insieme”
Voglio terminare questo mio intervento con le parole di Ibrahim, egiziano, dopo essere sbarcato dalla nostra nave Open Arms: “sono voluto venire in Europa per l’umanità che qui c’è, è gente che tratta bene gli esseri umani, che rispetta e apprezza le persone”. Parole dette dopo che, come ultimo grido di aiuto dopo 20 giorni a bordo della Open Arms, si è gettato in mare in un gesto disperato, senza saper nuotare.
Vi ringrazio