In questo stesso giorno di ventitré mesi fa, Daphne Caruana Galizia è stata uccisa con un’autobomba a Malta. Era la prima volta che un giornalista veniva ucciso a Malta.
Per molti nel mondo che comprensibilmente ritenevano Malta un posto dove andare in vacanza, quell’esplosione è stata un fulmine a ciel sereno. Ma il conflitto che sarebbe poi costato la vita alla più importante giornalista maltese è iniziato molto tempo fa e un teatro rilevante di questo conflitto sono stati i social media, soprattutto Facebook.
Non era scontato che l’enorme polarizzazione, il linguaggio virulento, la disumanizzazione pervasiva e la disinformazione grossolana avrebbero necessariamente portato al fuoco e alla violenza nelle strade. Ma il fatto che non ci si aspettasse che tutto questo non poteva avere altro risultato, mostra che il popolo maltese era ingenuo rispetto alla realtà politica del suo paese. E lo è ancora.
Una politica profondamente divisiva non è iniziata con Facebook. Stiamo parlando in Spagna dove il sangue della guerra civile non si è completamente asciugato. Non pretendo di portarvi lezioni culturali da Malta.
Ma ci sono aspetti della recente storia di Malta che sono, anche per me, davvero sconcertanti.
Daphne Caruana Galizia è stata una testimone sincera di questa storia.
La sua visione cupa del Labour Party di Malta non si è mai illuminata. Era bambina negli anni ’70 e ’80, gli anni in cui un regime da cortina di ferro usava largamente gli strumenti della violenza, aggressioni in strada e omicidi di stato per perseguire le sue finalità oscurantiste.
A 19 anni partecipò ad una piccola marcia di protesta. Questo genere di cose non era ben visto al tempo. Fu arrestata e detenuta in una cella lurida, esaminata e interrogata da un baffuto ispettore di polizia. Quell’ispettore alla fine entrò in politica, naturalmente con il Labour Party. Oggi è il presidente del Parlamento di Malta. Naturalmente questo fatto è puramente simbolico. Per la maggior parte della carriera di giornalista di Daphne, il Labour Party ha condotto una campagna per evitare che Malta entrasse nell’Unione Europea.
Lei considerava l’isolamento e la pirateria di un’astuzia da quattro soldi di un’economia d’oltre mare ideologicamente odiosa.
E quando la generazione che usava la violenza per sopprimere la democrazia negli anni ’80 e la generazione che si schierava contro l’entrata nell’Unione Europea fino al 2008 passò il timone alla leadership che guida il Labour Party e la Malta di oggi, le sue ragioni per contrapporsi al colosso della politica maltese divennero ancora più pressanti e sempre più frustrate.
Per tracciare questo scenario bisogna inserirlo nel contesto dei media attraverso i quali l’informazione fluiva nel paese.
Fino al 1987 le emittenti radiotelevisive erano stretto monopolio dello Stato, uno dei lasciti preziosi dei poteri centrali che i nostri padroni locali avevano ereditato dai colonizzatori britannici. Negli anni più bui della democrazia di Malta, tra il 1981 e il 1987, anche solo il nome del leader dell’opposizione era bandito dalle trasmissioni, un che di faraonico nella politica contemporanea.
Il partito nazionalista di opposizione cercava di infrangere questo monopolio e trasmetteva i propri messaggi illegalmente dalla Sicilia. Chiunque apparisse in queste frequenze televisive non poteva ritornare nel paese.
Quando i nazionalisti arrivarono al potere nel 1987, promossero una svolta radicale sotto molti aspetti, comprese le trasmissioni. Aprirono frequenze alla concorrenza e con un gesto, che credevano profondamente simbolico ma che si sarebbe rivelato disastroso, concessero la prima licenza privata di trasmissione al Labour Party. Alla fine ne concessero una anche a loro stessi.
Si potrebbe pensare che concetti come “fake news”, “disinformazione” e “realtà alternative” siano nuovi. Malta ha avuto 30 anni di notiziari televisivi in cui le notizie non erano correlate agli avvenimenti ma alla convenienza del partito politico che pagava gli stipendi dei giornalisti.
La maggior parte della gente – quasi i 4/5 della popolazione – considera ancora i notiziari della televisione locale la fonte di informazione primaria su quanto accade nel paese. Per molti di loro è l’unica fonte di informazione. Hanno tre reti tra cui scegliere: una dello Stato che serve il governo e le altre due rispettivamente di ciascuno dei partiti politici. Cioè Pravda, Pravda e Izvestia.
Questo ha fatto sì che il pubblico abbia sviluppato uno strano rapporto con la verità. Trent’anni di emittenti che hanno fatto molto peggio che gettare ombre di faziosità sulle notizie, disseminando invece una deliberata disinformazione, allarmismo e diffamazione, hanno indotto la gente a scegliere cosa credere non secondo quanto è credibile, basato sull’evidenza e dimostrato, ma secondo la bandiera che la fonte sventola.
Questo ha parecchie conseguenze sorprendenti.
La politica è fatta di bianco e nero. Qualsiasi grigio, qualsiasi tentativo di valutazione critica ed oggettiva, viene immediatamente e istintivamente respinto come un tentativo dell’altra parte di intorbidare la purezza del proprio credo politico. Scelgo il termine “credo”, appositamente. Perché questo atteggiamento ha tutte le caratteristiche del fanatismo religioso: il genere di paranoia che porta all’isteria folle osannanti e inneggianti.
E’ con questi strumenti che il Labour Party ha fatto la sua campagna contro l’ingresso nell’Unione Europea. Immagini mentali di sacche per cadaveri e di siciliani predatori sono state diffuse con un linguaggio che ci è tristemente fin troppo noto, mentre la politica della paura è diventata predominante in amate democrazie come gli Stati Uniti, l’Italia e la Gran Bretagna.
C’era una cosa che mancava in queste campagne: la possibilità di personalizzare la paura e di adattarla ai pregiudizi di un individuo e a risposte automatiche. Questo è ciò che ha portato Facebook.
Pochi capirono cosa stava succedendo. Lo capì Daphne Caruana Galizia.
Il principale antagonista di questo dramma è l’attuale Primo Ministro di Malta, Joseph Muscat. Assunse la leadership del Labour Party quando aveva 34 anni e sarebbe diventato Primo Ministro a 39.
Con l’approssimarsi delle elezioni del 2013 la probabilità della sua elezione diventava una certezza. Ma Daphne, che scriveva a quel tempo, sosteneva che era più di una semplice logica di alternanza in un sistema di bipartitismo a favorire il Labour di Muscat.
Da allora abbiamo appreso molto sull’ascesa rapidissima di questo nuovo leader e sulla ricchezza incredibile che il Labour Party sembrava aver raggiunto tra la quasi bancarotta del 2008 e le sue stupefacenti risorse nel 2013. Quell’ascesa stava già diventando evidente a distanza di pochi mesi dalla fatale elezione del marzo 2013.
Varie cose molto chiare accaddero quell’anno.
L’affare del Panama Papers avrebbe rivelato che il responsabile dello staff del Primo Ministro Keith Schembri e il suo Ministro dell’Energia Konrad Mizzi avevano costituito compagnie panamensi non appena entrati in carica.
Avremmo scoperto che un uomo d’affari maltese aveva costituito un’azienda a Dubai e insieme con una società costituita da un proprietario sconosciuto avrebbero guadagnato 5.000 $ al giorno.
Nel frattempo quell’uomo d’affari, Yorgen Fenech, divenne partner dell’azienda energetica di stato dell’Azerbaijan, SOCAR, ed ottenne un lucroso contratto per una nuova azienda elettrica statale.
Lo stesso giorno in cui furono costituite quelle due aziende panamensi, una terza società chiamata Egrant fu costituita insieme a queste. Il suo proprietario – descritto come più importante del proprietario delle altre due società – rimase un mistero.
Qualcos’altro accadde a distanza di pochi mesi dalle elezioni di quel marzo 2013.
Malta nominò un affascinante avvocato svizzero – Christian Kaelin – per vendere passaporti a oligarchi russi, sceicchi del petrolio sauditi, burocrati nigeriani e tycoons cinesi.
Avremmo poi saputo che Christian Kaelin lavorava per una società vicina ad Aleander Nix, che aveva dato vita a Cambridge Analytica e manipolava dati molto importanti per condizionare il comportamento di voto e usava sporchi trucchi per controllare i risultati delle elezioni.
Kaelin e Nix lavoravano insieme in diverse giurisdizioni caraibiche per assicurare l’elezione di partiti politici che si impegnavano a introdurre sistemi per ottenere passaporti identici a quelli di Malta.
Qualcos’altro era accaduto a breve distanza dalle elezioni del marzo 2013. Un uomo iraniano di 33 anni, senza la minima esperienza di banca, ottenne l’autorizzazione di aprire una banca europea a Malta. Nascose il fatto che era iraniano usando uno dei passaporti vendutigli da Christian Kaelin.
La sua banca - Pilatus - era una lavanderia per i guadagni illeciti dei dittatori. Aveva solo 180 conti. Molti di questi appartenevano ai boss della dittatura di Baku, compresi, tra i più importanti, i due figli di Ilham Aliyev, che usavano Malta per ripulire il loro denaro sporco per garantirsi i loro dispendiosi stili di vita in Gran Bretagna.
Un’informazione importante arrivò dall’interno di Pilatus Bank. Provò che la terza società panamense – Egrant – era di proprietà della moglie di Joseph Muscat, Michelle, ed era usata per ricevere pagamenti a sei cifre dalla figlia di Ilham Aliyev.
Inutile dire, ma sono costretto a farlo, che Joseph Muscat e tutti gli altri attori di questo dramma negano ogni misfatto.
Nonostante le prove che supportano queste storie, quanto vi ho appena detto è marchiato da Joseph Muscat come la più grande menzogna della storia politica di Malta. Quindi è un’invenzione ideata da una strega. E la strega è morta, bruciata come devono essere bruciate le streghe.
Come riesce a farla franca? L’atmosfera di realtà alternative compresenti in uno stato perpetuo di distruzione reciproca fa sì che migliaia di persone sostituiscano nelle loro menti la verità oggettiva con più attraenti macchinazioni.
Io sono un giornalista e condivido qui a Madrid la mia esperienza di quanto sta accadendo a Malta. Ma quando i media del Labour Party sapranno di questo intervento, questo verrà presentato come un atto di tradimento. Sto parlando male di Malta con degli stranieri. Per un’isola post coloniale, parlare con persone esterne in un modo diverso che non sia la cartolina promozionale visitmalta.com è un tradimento.
Prendere di mira le donne è facile. La sensibilità post-coloniale alla truffa e alla connivenza con lo straniero è decisamente attutita rispetto alla radicata misoginia di una radicata cultura machista in cui parlare di politica è da uomini e le donne sono fatte per pulire le macchie di birra quando vengono fatte.
Di Daphe Caruana Galizia era stata fatta una caricatura di strega, sui media ufficiali di proprietà del partito: una donna che parla apertamente e per questo deve essere posseduta dal diavolo. I suoi avvertimenti sulla corruzione e le sue rivelazioni su questo erano ridotte alla predica isterica di una folle andata fuori di testa. Come il nome del leader del partito di opposizione Nationalist Party negli anni ’80, il nome di Daphne era bandito dai media che la offendevano e lo sostituivano con appellativi come “la regina della bile” o “la strega di Bidnija”, il villaggio dove viveva.
Il suo giornalismo divenne un’azione maligna, come una maledizione medievale che può essere curata soltanto con un’espiazione inquisitoria, legata al rogo.
Il Labour Party organizzò eserciti di trolls online per diffondere questo messaggio. Qualsiasi cosa scrivesse o pubblicasse, anche se convincente, sarebbe stata soffocata con la calunnia che quello era un prodotto fittizio dell’odio.
“Odio”: quella parola. L’accusa proiettata sugli altri da quelli più compenetrati in esso.
E’ il veicolo della paura. L’acido che dissolve il nostro attaccamento alla nostra umanità.
E’ per questo che quando morì Daphne Caruana Galizia alcuni se ne rallegrarono. E’ per questo che un memoriale di protesta che chiede verità e giustizia nel suo nome, nel centro della Valletta, viene vandalizzato almeno due volte al giorno, una volta anche da impiegati del governo in servizio.
E’ per questo che, nonostante una risoluzione del Consiglio d’Europa e le esortazioni da parte della Comunità internazionale, il governo rifiuta di aprire un’inchiesta pubblica e indipendente sul suo omicidio.
E’ per questo che i portavoce del Primo Ministro hanno negato che un’autobomba contro una giornalista equivalga ad un assassinio ed hanno accusato i figli di Daphna Caruana Galizia di matricidio e di cercare di nascondere la verità sulla morte della loro madre perché godono del danno sul piano internazionale subìto da Malta, il paese che sono accusati di odiare.
Questo succede perché la gente il cui potere politico si basa sulla paura pervasiva, l’odio e il deliberato distacco dalla verità e da fatti dimostrabili e verificabili, ha a disposizione strumenti sui media tradizionali e sui social media che consentono loro di farla franca.
Il giornalista di The Guardian che ha lavorato sulla storia di Cambridge Analytica negli ultimi anni si è chiesto apertamente, di recente, se sarà possibile avere nuovamente elezioni libere e corrette.
E’ una paura ragionevole. Abbiamo visto Daphne Caruana Galizia uccisa a Malta e non è successo niente a quelli che l’hanno uccisa e a quelli che avrebbero dovuto essere rovinati politicamente dalle sue rivelazioni. Forse sono le stesse persone o, in ogni caso, sono strettamente correlate.
Oltre a domandarsi se potremo mai più avere libere elezioni, dovremmo chiederci allora se i giornalisti che dicono la verità su coloro che hanno potere in Europa potranno mai più lavorare senza il pericolo di perdere la vita.