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David Rosen

Rabino, Director de la Junta del KAICIID, Israel
 biografía

Quando mi è stato chiesto di affrontare il tema “Israeliani e Palestinesi: la pace è possibile?”, immediatamente ho pensato alle famose parole di Theodore Herzl, il visionario dello stato moderno di Israele,”se lo vuoi, non è un sogno”

La pace non solo è possibile e desiderabile, è naturale.

L’assenza di pace ci deve far porre la domanda “perché non abbiamo la pace?”

Questa domanda che si pone davanti a molti conflitti nel mondo, sembra particolarmente bruciante davanti a Israeliani e Palestinesi, poiché la pace è stata vicina in maniera tangibile in un certo numero di occasioni in passato. 

Perché non abbiamo la pace? Perché abbiamo paura, siamo sospettosi, non c’è fiducia. 

Ma conosciamo la battuta : “Anche se sono paranoide, non significa che non stiano cercando di uccidermi”. 

Sia gli israeliani che i palestinesi hanno i loro buoni motivi per sentirsi paranoidi.

Nel nostro mondo, ciascuno si sente vittima e ha coscienza di essere vulnerabile, in realtà ciascuno pensa se stesso con categorie diverse.

I Palestinesi si sentono vulnerabili davanti al potere di Israele e al suo controllo militare.  

Noi Israeliani ci vediamo circondati da un mare di ostilità araba, rifiuto e violenza, della quale i Palestinesi sono troppo spesso parte integrante. 

Il mondo arabo si sente una vittima storica del potere occidentale, delle Crociate, dell’imperialismo e del colonialismo, e oggi del consumismo e della globalizzazione. 

Ciascuno nella nostra parte di mondo crede che se ha dei problemi, la colpa è di qualcun altro, ovviamente questa è anche una tendenza di ciascun essere umano.

Tuttavia la nostra regione soffre per i suoi traumi peculiari, i Palestinesi e gli Israeliani in particolare. Spesso questi traumi sono aggravati da profonde ferite del passato, al di là degli effetti del conflitto.

In realtà quello che ostacola la pace, o almeno ci impedisce di impegnarci seriamente per la pace, sono i nostri traumi. 

Come si supera un trauma? Con la terapia! Israeliani e palestinesi hanno bisogno di una risposta terapeutica.

Ci sono molti modi di affrontare traumi e paure, ma ciò di cui la vittima ha bisogno per uscire dal vortice del trauma è la stima.

Inoltre, una persona che è vittima del dolore, ha bisogno che si ascolti il suo dolore e che lo si comprenda idealmente. 

C’è un famoso racconto chassidico che parla di un maestro che diceva di aver imparato da due contadini il senso vero del comandamento espresso nel libro del Levitico (19v.18) “ama il tuo prossimo”

Il primo disse “Ivan, mi vuoi bene?

e l’altro rispose:  "Certo che ti voglio bene,Boris".

Il primo chiese allora "Ivan, sai cosa mi fa soffrire?" 

e l’altro replico "Boris, come posso sapere cosa ti fa soffrire?"

e il primo rispose "Ivan, se non sai cosa mi fa soffrire come puoi volermi veramente bene?"

Questa intuizione è profonda. Tuttavia, quando ciascuno di noi è risucchiato dal proprio dolore e dalle proprie sofferenze, ascoltare, comprendere, provare interesse per le pene e le sofferenze dell’altro è veramente difficile, se non impossibile.

Come sempre in occasione di conflitti o problemi, il ruolo di “un terzo” esperto è cruciale. Per aver successo, questo consigliere esterno deve essere stimato positivamente da entrambi le parti coinvolte.

Parte del problema nel conflitto israeliano-palestinese, così come nella maggioranza dei casi, è che quelli che si prendono cura dell’uno sembrano essere convinti che simpatizzare con le aspirazioni riguardanti sicurezza, benessere, dignità, giustizia e pace dell’altra parte belligerante diventi un problema proprio per quelli a cui loro sono maggiormente interessati.

Questo si chiama il gioco della somma uguale a zero. Ma solo un gioco in cui tutti potranno avere dei vantaggi porterà ad una pacifica risoluzione del conflitto 

Solo quando i Palestinesi realizzeranno la loro battaglia per l’autodeterminazione nazionale, Israele potrà godere di una reale sicurezza; e viceversa solo quando Israele veramente si sentirà sicura, i Palestinesi avranno concluso la loro lotta per l’autodeterminazione nazionale.

Quelli che veramente ci vogliono aiutare ad arrivare ad una pace duratura devono mostrare comprensione per entrambe le parti in conflitto, devono ascoltare quanto entrambi hanno da raccontare, comprendere cosa ci fa soffrire, e devono volerci bene.  

Allora potremo essere in grado di emergere dal vortice del nostro trauma e ognuno di noi, israeliano e palestinese, ascolterà e rispetterà quanto l’altro ha da raccontare, inizierà a comprendere cosa fa soffrire l’altro, ad imparare ad amarsi e a vivere in pace. 

Il ruolo della religione in questo contesto è fondamentale. Infatti, anche se il conflitto israeliano-palestinese non è di natura religiosa ma territoriale, le identità delle parti coinvolte sono legate alla religione in maniera inestricabile.

La religione può legittimare e delegittimare. Il dialogo interreligioso può svolgere un ruolo importante nel rendere capace ciascuno di ascoltare quello che l’altro ha da raccontare. 

Abbiamo istituito il Consiglio delle Istituzioni religiose in Terra Santa per questo scopo, esso è formato dal Ministro del Waqf (Affari religiosi) dell’autorità palestinese, dal tribunale della Shaaria, il Gran Rabbinato d’Israele, e uno spettro di autorità cristiane.

Il ruolo che il Consiglio può effettivamente svolgere dipende, tuttavia, sostanzialmente dal sostegno delle autorità politiche e finora c’è stato poco incoraggiamento.

Nonostante ciò continueremo a lavorare e ad esigere tale collaborazione, convinti che il sostegno della leadership religiosa è cruciale per la pace tra israeliani e palestinesi con ampie e profonde implicazioni nella nostra regione, considerata nel suo complesso, e addirittura a livello mondiale. Anche se la religione è stata utilizzata per scopi di parte, persino violenti, l’impegno costruttivo della religione è fondamentale per assicurare che la pace tra Israeliani e Palestinesi divenga una realtà. 

Come dicevano i nostri antichi sapienti, la pace è la base che l’Onnipotente ha stabilito per rendere possibili tutte le benedizioni del suo mondo.