12 Septiembre 2011 09:00 | Residenz, Cuvilliés-Theater
Dialogo teologico e cooperazione pratica tra le Chiese di Daniel
L’unità o la comunione visibile tra i cristiani è un desiderio e una chiamata santa del Salvatore Gesù Cristo che ha pregato per quest’unità nell’ora della sua sofferenza e della sua Resurrezione, dicendo: “Che siano una cosa sola… perché il mondo creda” (Giov. 17,21).
Dopo secoli di conflitti, polemiche e reciproca estraneità tra i cristiani, il Movimento ecumenico per la ricostruzione dell’unità visibile tra i cristiani è diventato una caratteristica specifica del XX secolo, in particolare dopo la fondazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese nel 1948 e dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965). Al di là dei successi e degli insuccessi questo movimento è essenzialmente un cambiamento di atteggiamento e un nuovo stato d'animo, poiché le relazioni tra diverse chiese, vecchie e nuove, si sono spostate dalla polemica al dialogo, dal confronto alla cooperazione e dall’isolamento alla solidarietà. Sebbene l'entusiasmo iniziale per il dialogo teologico e la preghiera comune ecumenica sia diminuito negli ultimi 20 anni, tuttavia un atteggiamento ecumenico nei rapporti tra le Chiese è diventato una norma di comportamento. Per alcuni cristiani, il movimento ecumenico entusiasta della metà del ventesimo secolo era stato troppo veloce e metteva in pericolo l'identità teologica e spirituale delle diverse Chiese e confessioni cristiane, ponendo il sospetto, in alcuni cristiani più reticenti e prudenti, che potesse favorire un relativismo dottrinale, sacramentale e persino etico. Per altri, il movimento ecumenico è stato troppo lento, dal momento che l'unità tra le chiese separate da secoli non si è ancora realizzata. Di conseguenza, l’entusiasmo per il movimento ecumenico del 1960 è stato gradualmente sostituito da una certa cautela o addirittura riluttanza.
In questo contesto emerge che, in generale, con poche eccezioni, i risultati dei dialoghi teologici bilaterali tra le chiese in tutto il mondo non sono stati pienamente recepiti dalle chiese ufficiali rappresentate dai loro teologi in dialogo e non hanno avuto un forte impatto sulle comunità religiose.
C’è bisogno, quindi, di una valutazione di questi dialoghi teologici da parte di ogni Chiesa, come anche di un nuovo approccio verso tali tematiche. I dialoghi teologici interconfessionali a livello internazionale hanno cercato per decenni di chiarire le differenze di dottrina e di organizzazione della chiesa ereditate dal passato. Anche se alcuni risultati delle Commissioni per il dialogo sono stati incoraggianti, tuttavia essi non sono stati percepiti dalle comunità cristiane come qualcosa di grande attualità per la vita quotidiana e neanche sono stati utilizzati dalle chiese ufficiali come base per ulteriori passi verso l'unità dei cristiani, ma sono rimasti piuttosto segni visibili di un atteggiamento più benevolo nei rapporti fra le Chiese impegnate nel dialogo.
La Chiesa Ortodossa, specialmente il Patriarcato Ecumenico, ha partecipato già dal 1920, con responsabilità e speranza, a questo movimento ecumenico per la ricostruzione dell'unità dei cristiani, dato che era convinta di poter presentare come base o perno del dialogo ecumenico la Tradizione Apostolica Ininterrotta, cioè la testimonianza vivente della continuità storica ininterrotta della Chiesa dei Santi Apostoli, dei Santi Padri e dei Concili ecumenici dal primo millennio dell’era cristiana, quando la maggior parte dei cristiani di Oriente e Occidente formavano una sola Chiesa. Tuttavia, quando nel Movimento l’interesse ecumenico per ristabilire l'unità dei cristiani sulla base comune della Tradizione apostolica si è indebolito e sono apparse alcune innovazioni nella Chiesa anglicana e nelle Chiese Protestanti per quanto riguarda il ministero pastorale (Pastorale), l’atteggiamento di molti ortodossi verso il Movimento ecumenico è divenuto una reticente e chiara critica. In questo contesto di riduzione dell’efficacia o della rilevanza dei dialoghi teologici bilaterali, sono emerse nuove priorità per la vita di molte Chiese Ortodosse. La caduta del comunismo in Europa orientale, il fenomeno della secolarizzazione, il fenomeno della migrazione e la crisi economica attuale inducono le chiese ad essere meno interessate del dialogo teologico accademico e più inclini verso una cooperazione pratica nel piano pastorale e sociale, come manifestazione del dialogo ecumenico della carità o dell’amore fraterno in Cristo. Questa cooperazione pratica, riguardo le situazioni pastorali e sociali concrete, può essere facilmente percepita ed apprezzata dalle comunità cristiane locali, più che il dialogo teologico accademico degli ultimi due o tre decenni.
Per esempio problemi nuovi come il fenomeno della migrazione, la crisi della famiglia cristiana tradizionale, la disoccupazione, la povertà, la malattia e la sofferenza non si trovano nell’agenda dei dialoghi teologici ufficiali tra le Chiese, che si sono tenuti negli ultimi decenni. Naturalmente, tali questioni sono state spesso oggetto di alcuni incontri, conferenze o seminari ecumenici puntuali e di breve durata, ma essi sono stati percepiti più come una iniziativa finalizzata a dare una risposta comune cristiana ad alcuni problemi attuali della società come costituire un contributo che accresca lo sforzo di ristabilire l'unità dei cristiani sulla base di alcune convinzioni comuni. A differenza dell’ecumenismo accademico del dialogo teologico ufficiale, questo ecumenismo esistenziale della carità nel piano pastorale e sociale si manifesta in azioni comuni che stabiliscono un legame vivo tra il testo del Vangelo e il contesto sociale in cui convivono i cristiani di confessioni o etnie diverse. In questo senso, l'esperienza della cooperazione fraterna e amichevole tra le comunità ortodosse romene in Italia, con oltre un milione di fedeli, e le comunità romano cattoliche dello stesso Paese è molto utile e rilevante. Questa cooperazione ecumenica nel piano pastorale e sociale, riguardo l'organizzazione degli spazi liturgici e l’aiuto agli immigrati malati e poveri, può costituire una motivazione in più per l’intensificazione della comunione fraterna può fra crescere la comunione fraterna tra le nostre Chiese. Attraverso la cooperazione ecumenica vediamo che lo Spirito soffia dove vuole (cfr Gv 3, 8), ma non ferma il suo lavoro, e quello che sembra a volte essere un calo di entusiasmo per l'unità dei cristiani, può essere solo un periodo di “germinazione” per un nuovo lavoro comune missionario in un mondo che cambia rapidamente! Dio ci parla spesso attraverso situazioni nuove e sorprendenti, anche se a volte difficili e incomprensibili da parte nostra, proprio perchè noi insieme possiamo dare a queste situazioni impreviste un senso positivo sulla base di una comune fede cristiana che viviamo e testimoniamo in una società sempre più secolarizzata. Così, anche una situazione di crisi può trasformarsi in un appello alla creatività pratica e ad una testimonianza comune espressa attraverso gli atti della carità nel mondo concreto nel quale oggi viviamo.
Per gli uomini poveri, ammalati, soli e disorientati, il dialogo pratico della carità fraterna e dell'amore cristiano fraterno è la strada più diretta per percepire che le chiese si trovano in un movimento di lavoro comune ecumenico, cioè in un’azione fraterna comune.
Ringraziamo la Comunità Sant’Egidio per il suo contributo alla promozione di legami profondi tra la vita spirituale e l’azione sociale tra la famiglia ecclesiale e la famiglia dei popoli, tra il dialogo teologico della verità della fede e il dialogo dell’amore cristiano e della carità. Ringraziamo anche la Chiesa cattolica e la Chiesa Evangelica in Germania, soprattutto quella di Baviera, dove ci troviamo ora, per il loro atteggiamento ecumenico pratico nel sostegno alle comunità ortodosse in Germania, che hanno bisogno di aiuto per organizzarsi e rispondere alle necessità pastorali dei fedeli ortodossi, desiderosi di preservare la loro identità religiosa e allo stesso tempo di integrarsi nella società tedesca.
Infine, dobbiamo sottolineare che attraverso la cooperazione ecumenica pratica non perdiamo la nostra identità, ma la arricchiamo, dato che l’affermiamo non nell’isolamento nei confronti degli altri cristiani, ma in rapporto con loro, non contro di loro ma con loro. Così, la conoscenza reciproca e l’aiuto reciproco sul piano spirituale e sociale sono già le tappe del lavoro per l'unità dei cristiani!
† DANIEL
Patriarca della Chiesa Ortodossa Romena