7 Wrzesień 2009 16:30 | Pałac Wielopolskich – Sala A

Intervento



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Michel Camdessus

Były Prezes Banque de France
 biografia

Mi è stata offerta ieri l’occasione di esprimere la mia convinzione che la gravità di questa crisi non può essere spiegata senza fare riferimento alla crisi culturale che attraversa le nostre società, questa “esigenza di autonomia che non tollera influenze di carattere morale” sulla vita economica e che finisce per diventare un’idolatria del denaro-re, che si rivela alla fine distruttiva del sistema in cui viviamo.    

Questa mattina vorrei essere più concreto e mostrarvi come questa crisi si è sviluppata in una combinazione costante di sbagli tecnici e di errori morali. Vedremo in seguito su quale base si possa tentare di costruire un sistema al servizio del bene comune mondiale.

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Crisi spirituale e crisi economica

Cerchiamo pertanto di vedere come questa crisi culturale e spirituale ha portato ad un rilassamento etico che spiega questa incredibile combinazione di sbagli tecnici ed errori morali che si ritrova ad ogni tappa del procedere della crisi.    

Eccone alcuni esempi.

E’ contrario ad ogni etica concedere prestiti rischiosi a persone la cui solvibilità non è affatto solida e di cui si sa che basta che aumentino un po’ i tassi d’interesse, o che cambi il mercato immobiliare perché siano costrette a perdere tutto: la casa che avevano comprato, i risparmi che avevano investito e tutti i loro sogni. E’ proprio quello che è successo. Si dimentica troppo facilmente che tre milioni di famiglie, e forse più, hanno subito questa sorte negli Stati Uniti. Il regime instaurato nei loro confronti, mascherato di buone intenzioni, era in realtà irresponsabile e, oserei dire, criminale .

E’ contrario ad ogni morale vendere ai risparmiatori strumenti finanziari che combinano subprime ad alto rendimento, perché rischiosi, a titoli ordinari e classici del mercato monetario, senza rivelare esattamente la composizione del cocktail e senza mai informare chi andava a comprare questi strumenti “dinamici”, come si diceva, dei rischi reali che correvano acquistandoli. Molti banchieri mi hanno confidato che essi stessi non sapevano bene cosa contenessero questi prodotti o quale ne fosse il rischio.

C’è anche una mancanza verso l’etica da parte dei moderatori e delle autorità finanziarie nel lasciare che si sviluppasse un clima in cui l’unica legge era la ricerca della massimizzazione dei profitti a breve termine, e in cui si incoraggiava, con il regime dei rendimenti, la frenesia dei venditori di titoli e l’immaginazione talvolta delirante dell’ingegneria finanziaria. Tutto questo era lasciato alla massima libertà. In molte istituzioni finanziarie, quelli che valutavano i rischi e che in altri tempi avevano l’ultima parola, hanno visto diminuire la propria influenza a vantaggio dei venditori di prodotti finanziari e di tutti quelli che contribuivano a massimizzare i profitti a breve termine. La banca era così surrettiziamente sovvertita. Tutto questo era contrario alle regole fondamentali dell’economia di mercato quale era stata concepita in origine. Il suo fondatore, Adam Smith, spiega infatti che il mercato rende i più grandi servigi, anche se è fondato sull’avidità individuale, a condizione che ciascuno dei suoi attori moderi la propria avidità, si preoccupi del bene della propria comunità e che gli arbitri siano giusti e intelligentemente diligenti. Questi principi sono stati viepiù dimenticati a vantaggio di una sola regola: la massimizzazione dei profitti immediati.

Prendendo le distanze, vediamo ora l’aspetto immorale di questo agire. Discerniamo meglio quanto siano fondati sulla menzogna e la ricerca dell’interesse immediato di alcuni, a cinico sprezzo degli interessi di tutti gli altri e particolarmente dei più deboli. Si percepisce subito quanto sia opportuna l’ultima Enciclica del Papa che richiama i principi dell’insegnamento sociale cristiano – la destinazione universale dei beni e il primato dell’uomo sul capitale – invocando un sistema in cui le transazioni economiche siano fondate sulla giustizia e lascino spazio al dono, nel rispetto della verità.

Questa crisi è radicata nel terreno di una cultura collettiva dominata dalla corsa al denaro. Può dunque essere sradicata soltanto se questo terreno culturale è, anch’esso, profondamente smosso. Compito enorme di ricostruzione culturale ed etica del “villaggio globale”; compito necessariamente collettivo e a tutti i livelli perché ciascuno intuisce che il mondo non sarà più come prima.

Affrontare questa cultura dell’avidità che ha retto tanti nostri comportamenti è allora uno sforzo utopistico? Alcuni ci dicono di sì, ricordando che essa ha origine nelle profondità del cuore dell’uomo e che il flagello di questa cupidigia risorge costantemente. Ma i nostri messaggi sono rivolti proprio al cuore dell’uomo. Sta dunque soprattutto a noi dimostrare attraverso le nostre vite che la felicità dell’uomo passa per una cultura dell’essere e della fraternità, e non dell’avere; sta a noi immaginare strutture di bene e contribuire a sostituirle a quelle di cui oggi vediamo l’immoralità.

Come ?

Mi sembrano essenziali due atteggiamenti :

-    Sottrarci innanzitutto ad ogni tentazione di negare le nostre responsabilità. Superando la denuncia troppo facile e sterile dei “capri espiatori”, ciascuno, uomo o istituzione, deve uscire dalla negazione delle proprie responsabilità. Nessuno – né i cristiani, né la Chiesa stessa – può esserne dispensato. Tutti dobbiamo ritornare su noi stessi e sulle nostre scelte passate per poter cambiare e volgerci verso una maggiore frugalità, solidarietà, gratuità e un maggiore impegno al servizio degli altri.

-    Mobilitarci tutti insieme al servizio di un bene comune mondiale di cui una finanza al suo servizio sarebbe soltanto uno degli strumenti. Gli sforzi dei governi del G20 e gli altri per affrettare l’uscita dalla crisi sono meritori; essi raggiungeranno i loro scopi soltanto se, simultaneamente e sostenuti dalle proprie opinioni pubbliche, lavoreranno insieme per liberare e istaurare un bene comune mondiale di cui si identificano alcuni poli essenziali:

  • l’uomo nella sua dignità e la sua cultura,
  • lo Stato che si assume pienamente le proprie responsabilità,
  • un nuovo modello economico nel cui ambito le finanze, gestite con trasparenza, giustizia e solidarietà servano uno sviluppo veramente sostenibile,
  • una governance mondiale al servizio di questo bene comune universale.

Posso dedicare qui soltanto alcune parole a ciascuno di questi compiti che richiede un’ugualmente grande battaglia di umanità.

L’uomo, la sua dignità, la sua cultura

Nessuna vera civiltà può essere costruita se non si riconosce all’uomo tutta la sua statura, laddove una cultura dell’avidità e del breve termine l’aveva ridotto ad un ruolo di agente economico passivo. Tutte le forze intellettuali e spirituali del mondo dovrebbero essere coalizzate per far rinascere una “cultura dell’essere” orientata verso lo sviluppo di tutto l’uomo e di ogni uomo nella convivialità comunitaria, la libertà, la responsabilità, la frugalità e la condivisione, laddove l’avere diventava il fine ultimo, nella solitudine e nel vuoto di senso .
Inutile dire ancora che basterebbe attingere a quelle fonti inesauribili che sono la Centesimus Annus e la Caritas in Veritate.

Lo Stato al servizio della società

E’ quanto accade anche per la concezione del ruolo dello Stato. Le decisioni del G20 attestano la presa di coscienza della necessità di assumere un maggiore equilibrio tra la libertà d’impresa, la creatività degli operatori e le responsabilità – troppo trascurate dallo Stato in questi ultimi tempi– per assicurare la trasparenza, la disciplina e la giustizia necessarie perché la finanza resti al servizio dell’economia.

Diamo pertanto fiducia – ma la fiducia non esclude la vigilanza – ai poteri pubblici perché lottino contro gli abusi più evidenti ed adottino le norme e i dispositivi istituzionali di sorveglianza e di regolamentazione che sono mancati finora. Questo dovrebbe avvenire senza cadere in un interventismo che soffochi ogni forma di creatività.

La profondità della crisi giustifica anche interventi pubblici massicci per ristabilire la fiducia nelle istituzioni finanziarie, sanare gli attacchi alla coesione sociale e mettere in atto, nel campo dell’attenzione all’ambiente, misure che non possono essere ulteriormente differite, anche in un tempo di crisi finanziaria.

Tutto questo ci dà un’idea delle immense responsabilità cui i poteri pubblici non potranno sottrarsi negli anni a venire, quando avranno ammesso che questa crisi può avere soluzione soltanto se si adotta un nuovo progetto collettivo a medio e lungo termine, non più fondato sull’accumulo individuale di ricchezze ma sulla qualità della vita collettiva e sul miglioramento della sorte dei più poveri del mondo. Questo dice quanto sarà importante la partecipazione attiva dei cittadini. Senza il loro impegno, il cambiamento fallirà.

Un nuovo modello di sviluppo
Le nostre tradizioni religiose hanno molto da dire sulle sette crisi di questo tempo. Vorrei indicare qui soltanto i due punti più importanti tra i molti altri:
1.    L’avvicinamento attuale delle due “masse critiche” che sono il cambiamento climatico e la crisi finanziaria: è urgentissimo mettere in piedi un progetto credibile per farvi fronte. Questo progetto non può essere separato dagli sforzi da perseguire e rafforzare per l’aiuto allo sviluppo . Bisogna riconsiderare, nella direzione di una ben più grande solidarietà, le nostre politiche nei confronti dell’Africa, continente colpito da una duplice ingiustizia:

  • un cambiamento climatico provocato dal modello di consumi del Nord,
  • e una crisi finanziaria di cui è quasi l’unica a non avere la responsabilità.

2.    La necessità di conferire un dinamismo radicalmente nuovo alla responsabilità sociale di tutte le imprese: l’impresa deve ridiventare infatti un campo privilegiato non soltanto per la creazione di valori, ma anche per l’esercizio di responsabilità e solidarietà .

Si tratta insomma di promuovere su scala mondiale un’economia sociale di mercato che integri le discipline ambientali e la dimensione mondiale delle nostre responsabilità. Un progetto simile è entusiasmante. Si tratta di un progetto di Speranza con la “S” maiuscola perché mira a porre la prima pietra di una civiltà più umana. Molti uomini vi lavorano già, molto spesso lontano dall’attenzione dei media. Potrà però affermarsi soltanto se appoggiato da un’esigenza di cittadinanza universale nel quadro di una democrazia mondiale molto più partecipativa, che metta ciascuno in grado di comprendere e cogliere le poste in gioco, e di contribuire al progetto collettivo. Non si può non aggiungere che, esprimendosi insieme, i nostri leader religiosi potrebbero contribuire a risvegliare l’opinione pubblica mondiale a questa esigenza del bene comune universale.
Infine, una governance mondiale adatta ai nostri tempi è indispensabile a questo scopo.

Una governance mondiale al servizio del bene comune universale

Oggi più che mai, questo mondo che si unifica deve darsi istituzioni forti e credibili da cui ci si possa attendere l’adozione di strategie globali necessarie, una capacità giuridica e finanziaria per la messa in atto e il perseguimento della loro esecuzione.    

Troppo a lungo, il mondo ha accumulato le responsabilità sulle spalle delle istituzioni esistenti, senza dar loro i mezzi di farvi fronte, anzi ostacolando la loro azione e facendone il capro espiatorio delle mancanze degli Stati.

E’ importante che Benedetto XVI abbia ripreso con insistenza le parole profetiche di Giovanni XXIII e Paolo VI sulla creazione di un’”autorità pubblica con competenza universale”. Questa va molto al di là della riforma necessaria delle istituzioni di Bretton Woods e in particolare del FMI. Questo passa soprattutto attraverso l’istituzione di un”gruppo di governance globale” a livello dei capi di Stato e di governo la cui composizione rifletta nella maniera più esatta possibile il peso rispettivo delle diverse parti del mondo e sia più legittimo degli attuali G8 e G20. Questo gruppo sarebbe meglio in grado di discernere gli elementi essenziali di una strategia di promozione del bene comune universale e di sorvegliarne la messa in atto, in uno spirito di sussidiarietà, attraverso istituzioni mondiali rinnovate o da creare.

Dare vita a tali istituzioni è essenziale. Niente di durevole infatti può essere acquisito senza che delle istituzioni credibili prendano in carico ed animino la ricerca e la realizzazione del bene comune della famiglia umana.


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Questa crisi ci ha rivelato i cambiamenti necessari delle regole finanziarie, delle istituzioni centrali e dei comportamenti. Questo ci ha portati verso alcune piste per la promozione di un bene comune globale della famiglia umana. Esse si offrono tutte ad un impegno comune di tutti gli uomini di religione. Trovano nel tesoro delle rispettive tradizioni i fondamenti di una gestione ecologica del mondo e dell’opzione preferenziale per i più poveri, sole vere risposte ad un’avidità distruttiva. Tutto il dinamismo della loro azione nell’unità sarà necessario per sostenere i responsabili politici, che, ovunque, si impegnino con coraggio ed immaginazione nella costruzione di un vero bene comune mondiale. Per i cristiani, questo impegno sarà quello di operai di un Regno venturo che si realizza, come ben esprime la Gaudium et Spes, nei nostri sforzi “per una migliore organizzazione della società mondiale”.