LA PAROLA DI DIO: UNA BUSSOLA PER IL NOSTRO TEMPO
Come cristiani siamo fermamente convinti che la parola di Dio sia una bussola per il nostro tempo. Ma come possiamo renderla feconda per il dibattito pubblico sul futuro dell’umanità nei nostri tempi? Credo che le nostre società abbiano bisogno della nostra testimonianza per un orientamento morale.
Molti di noi vivono in società in cui le sacre Scritture cristiane non sono ritenute in maniera condivisa la base normativa dei dibattiti sociali. Se viviamo in una società con diverse linee religiose o in un ambiente largamente secolarizzato, c’è bisogno nel confronto pubblico di rendere plausibili le nostre fonti normative oltre la nostra cerchia religiosa. Pertanto, nella teologia cristiana così come nelle teologie delle altre religioni, abbiamo bisogno di quella che mi piace chiamare “una teologia pubblica”.
Una teologia pubblica è il tentativo di dare un orientamento all’opinione pubblica nelle questioni fondamentali di rilevanza morale, sociale e politica, e suscitare risorse di comunicazione che mostrano l’importanza dell’orientamento religioso anche nelle società pluralistiche. Per questo, come comunità religiosa, abbiamo bisogno di ciò che chiamo “bilinguismo”: da una parte abbiamo bisogno di rendere conto delle radici bibliche e teologiche delle nostre affermazioni. D’altra parte, abbiamo bisogno di spiegare perché le nostre considerazioni e affermazioni hanno senso per tutte le persone di buona volontà. Oltre al linguaggio biblico e teologico, la teologia pubblica deve, tuttavia anche essere capace di parlare la lingua del discorso secolare e cercare di farsi capire nei dibattiti sociali oltre i contesti ecclesiali. Tale bilinguismo deve essere esercitato anche nei nostri curricoli di formazione teologica.
Per me è chiaro che, come chiese, non possiamo escludere l’orizzonte politico dalle nostre considerazioni e affermazioni morali. Questa è una diretta conseguenza del duplice comandamento dell’amore: amare Dio e amare il prossimo come se stessi. Se prendo sul serio questo comandamento non posso mai pregare senza curarmi del mio vicino. Se siamo realmente toccati dalla sofferenza del nostro prossimo, vicino o lontano, faremo qualsiasi cosa ci è possibile per superare questa sofferenza. E se la sofferenza è provocata anche dalle decisioni politiche, come molto spesso accade, dovremo impegnarci nel dibattito pubblico per suscitare l’azione politica necessaria, per esempio, per vincere la fame nel mondo o per promuovere la pace o per agire coerentemente contro la minaccia del cambiamento climatico. Dobbiamo essere consapevoli del fatto che tutti questi temi sono questioni di vita o di morte. Come possiamo non impegnarci come persone di fede che credono che ogni essere umano è creato ad immagine di Dio?
In un passo della sua opera “Etica”, il Pastore protestante tedesco Dietrich Bonhoeffer, ucciso dai Nazisti per le sue attività di resistenza, scrive:
“Sfuggendo al dibattito pubblico, taluni raggiungono il santuario di una virtù privata. Persone simili non rubano, non uccidono, non commettono adulterio, ma compiono il bene secondo le proprie possibilità. Ma rinunciando volontariamente alla vita pubblica, queste persone sanno esattamente che osservare i confini consentiti li protegge dal conflitto. Devono chiudere occhi e orecchie alle ingiustizie intorno a loro. Solo a costo di un autoinganno possono mantenere pulita la propria innocenza privata dalle macchie di un’azione responsabile nel mondo”.
Nel settembre 2022, esattamente un anno fa, il Consiglio Mondiale delle Chiese, che rappresenta 352 chiese in 120 paesi con 580 milioni di partecipanti, si è riunito a Karlsruhe in Germania, per la sua assemblea globale che si tiene solo ogni 8 anni. Migliaia di persone da tutto il mondo si sono riunite per dieci giorni per pregare e adorare e per discutere temi di portata globale come la libertà religiosa, il cambiamento climatico, la giustizia economica e le strade di pace nel conflitti violenti del mondo. Il presupposto dietro a tutti questi dibattiti era: sì! La parola di Dio è una bussola per il nostro tempo.
Cosa significa – giusto per accennare a uno dei temi affrontati – il nostro pellegrinaggio di giustizia, riconciliazione e unità per i nostri sforzi per la fine della violenza in Ucraina? Se noi come comunità di fratelli e sorelle su diversi fronti della guerra non siamo utili in questo, chi altri potrà esserlo?
La dichiarazione “Guerra in Ucraina, pace e giustizia nella regione europea” emessa dall’Assemblea alla presenza dei delegati della chiesa Russa Ortodossa, è in linea con le parole di Bonhoeffer appena citate, quando descrive come il popolo ucraino "ha sofferto e continua a soffrire un terribile livello di morte, distruzione e migrazione forzata. Più di 13.000 di civili ucraini sono stati uccisi, città come Mariupol sono in rovina, e circa 14 milioni di persone – quasi un terzo della popolazione ucraina totale – è stato costretto a lasciare le proprie case… Inoltre ci sono numerosi rapporti sulle atrocità che possono costituire crimini di guerra e crimini contro l’umanità, inclusi violenze sessuali e di genere e il rischio di tratta enormemente accresciuto."
L’assemblea condannava con forza la guerra come “illegale e ingiustificabile”, deplorando i numeri terribili di morte, distruzione e migrazioni, relazioni spezzate e un’inimicizia sempre più radicata tra i popoli della regione, conflitti in aumento in tutto il mondo, un rischio accresciuto di carestia nelle regioni del mondo che già sperimentano l’insicurezza alimentare, difficoltà economiche e una maggiore instabilità sociale e politica in molti paesi.
"Come Cristiani di diverse parti del mondo” – diceva l’Assemblea – “rinnoviamo l’appello per un immediato cessate il fuoco per fermare morte e distruzione, per il dialogo e i negoziati per raggiungere una pace sostenibile."
Da notare anche nel documento la chiara critica dell’utilizzo strumentale della religione per giustificare la guerra.:
"Affermiamo con forza … che la Guerra è incompatibile con la natura di Dio e con il suo volere per l’umanità e che è contraria ai nostri principi fondamentali cristiani ed ecumenici, e respingiamo ogni uso strumentale del linguaggio e delle autorità religiose per giustificare attacchi armati e odio”.
Le Chiese devono impegnarsi in attività per vincere la violenza e l’ingiustizia. Possono farlo grazie alle trattative dietro le quinte come Sant’Egidio ha fatto in molti conflitti e sia il Vaticano sia noi come Consiglio Mondiale delle Chiese stiamo facendo ora in Ucraina. Ma dovremmo anche impegnarci nei dibattiti della società civile che hanno importanza cruciale nelle decisioni politiche. Ovviamente le possibilità per incoraggiare la necessaria azione politica variano a seconda del paese e del suo assetto sociale. Ma dovremmo provare laddove possiamo. È parte della chiamata che Gesù ci fa, quando chiamò i suoi discepoli ad essere sale della terra e luce del mondo.