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Ole Christian Maelen Kvarme

Vescovo luterano, Norvegia
 biografia

 Buongiorno, grazie per il privilegio di partecipare a questa tavola rotonda sui moderni martiri cristiani e la nostra ricerca della pace. 

È un tema che tocca sia le nostre menti che i nostri cuori. 
È stato chiesto ad alcuni studenti del nord Europa: “se ti venisse puntata un’arma alla testa e tu dovessi scegliere se rinunciare alla tua fede o morire, che cosa faresti?” 
Gli è stata mostrata una foto della spiaggia della Libia dove 21 cristiani copti hanno rifiutato di rinunciare alla loro fede e sono stati sgozzati dai terroristi.
I giovani studenti hanno ammesso che probabilmente sceglierebbero la vita.
In nord Europa ci capita raramente di confrontarci con questa scelta, e devo fare un’ulteriore ammissione: una società confortevole ma secolarizzata spesso paralizza la nostra testimonianza, come pure la nostra solidarietà nei confronti di sorelle e fratelli che vivono nella persecuzione. L’apostolo Paolo ha detto che se un membro del corpo soffre, l’intero corpo è nella sofferenza. Sentiamo questa sofferenza noi che viviamo nella parte benestante del mondo, priva di persecuzioni? Come rispondiamo alla nostra ricerca della pace? Nel contributo a questa tavola rotonda condividerò con voi tre brevi riflessioni.
 
Pregare per la misericordia di Dio
 
Il martirio non è cercato ma sofferto. Coloro che scelgono di non rinunciare alla propria fede sono vittime della peggiore espressione del male. Come pure sono vittime del male i tanti che sono stati uccisi in attacchi suicidi nei luoghi di culto. A loro non è stata concessa una scelta, bensì sono stati feriti o uccisi in quanto parte di una comunità in preghiera. Anche questo è un segno di martirio ai nostri tempi: in Egitto, in Sri Lanka come pure tra i musulmani in Nuova Zelanda.
Nella preghiera al Signore chiediamo: “liberaci dal male!”
Gesù ha pregato anche per coloro che lo seguono: “La mia preghiera non è che tu li  tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno”. E i salmi chiedono insistentemente: “fino a quando, Signore, fino a quando gli empi trionferanno?” (salmo 94,3)
Dio non vuole la sofferenza del suo popolo.
Al contrario, ha lasciato che Suo figio morisse sulla croce per liberarci e proteggerci dal male. In una maniera molto speciale i martiri sono uniti a Cristo nella sua sofferenza sulla croce.
Nel nostro grido a Dio per la loro liberazione, raccomandiamo i martiri alla misericordia di Dio, che siano parte della resurrezione. Ma il numero reale dei martiri resterà limitato.
Tuttavia è un dovere per noi continuare a pregare per chi è perseguitato, che Dio li liberi dal male prontamente. Il nostro grido per la misericordia di Dio è la preghiera per coloro che non hanno la forza di alzarsi e soccombono alle minacce contro di loro, e deve essere allo stesso modo un grido di misericordia per i loro aguzzini.
 
Trasformazione – protestare con atti di misericordia
Nella preghiera ha luogo una trasformazione. Diventiamo noi stessi strumenti della misericordia di Dio. La preghiera ci impegna ad atti di misericordia, di solidarietà con chi soffre e affrontano l’ostilità. In molti Paesi ci sono organizzazioni e chiese con canali di assistenza e supporto. Non ci sono mai stati prima nella storia così tanti cristiani vittime di persecuzione. Li affidiamo a Dio nella preghiera e ci comportiamo di conseguenza?
Il male è una realtà nel mondo ed è presente nelle nostre vite. La preghiera di Gesù “liberaci dal male” è in se stessa una denuncia del male.
I profeti, i salmi della Bibbia e Gesù hanno gridato contro l’ingiustizia. Protestare contro il malvagio è un passo necessario nella nostra ricerca della pace – ma che tipo di protesta?
Nel libro dei Salmi ci sono diverse preghiere di vendetta sui malvagi. Quando leggiamo attentamente questi salmi difficili, forse siamo sorpresi. Non portano ad atti di vendetta o di violenza, ma lasciano a Dio il giudizio e la vendetta. E sulla croce Gesù ha pregato: “Perdonali!”
La nostra Chiesa luterana in Norvegia ha un legame particolare con la Chiesa copta d’Egitto. Un testimone da lì ha commosso i nostri cuori e  le nostre menti. Un’anziana signora aveva perso il marito in un attacco suicida al Cairo la Domenica delle Palme. Su un canale televisivo egiziano piangeva e gridava ”Noi perdoniamo, non vogliamo vendetta ma riconciliazione!” Anche l’ospite televisivo musulmano mi ha colpito. Ha esclamato “che cosa c’è contro questi cristiani? Loro non cercano vendetta, ma perdonano e cercano la riconciliazione”
La vedova aveva gridato il suo dolore e la sua debolezza con una forza incredibile.
La pace è una questione esigente; ci chiede di denunciare il male e l’ingiustizia, di gridare dal profondo la riconciliazione e la pace e di comportarci di conseguenza, con compassione.
 
La memoria e la testimonianza – testimoni viventi
Quando sono a Roma, vado alla Chiesa di San Bartolomeo, dedicata alla memoria dei martiri, dove la comunità di Sant’Egidio si raccoglie per la liturgia domenicale.
Questa amicizia e la chiesa allarga la mia coscienza ed immaginazione.
Perché abbiamo bisogno di fare memoria dei martiri e di imprimerne il ricordo nei nostri figli, nei giovani e in noi stessi? Certo non per ragioni romantiche. Il martirio è sofferenza e dolore. Il paradosso sta in quel che il Signore ha detto sulla via verso la croce: “sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza”. 
I martiri testimoniano il valore intrinseco della vita, non solo nell’aldilà ma la sua pienezza anche qui e nell’immediato,  nella sequela al Signore della vita.
Ricordo la Domenica di Pasqua a Mosca 30 anni fa. Dopo 70 anni di oppressione i cristiani russi poterono finalmente celebrare di nuovo sulla piazza ora rinominata Lenin.
Camminarono in processione davanti al mausoleo cantando Christos Voskres – Veramente Cristo è risorto.
Ho condiviso la loro gioia, ma poi mi sono venuti in mente i martiri di quegli anni  e i molti babushkas che avevano tramandato i canti di Pasqua ai nipoti e che avevano reso possibile la gioia di quel giorno.
Ricordare i martiri e la loro testimonianza ci richiama la chiamata del Cristo risorto: essere suoi martiri – testimoni a Gerusalemme, Giudea e Samaria fino ai confini della terra, anche in ambienti che tendono a paralizzare la nostra fede e la nostra testimonianza.
Ci mostrano che non si prevale sul male con il potere, ma con le parole e atti di misericordia attraverso lo Spirito Santo.
Quando Paolo parlò della croce di Cristo, lo definì un ostacolo e follia per tanti, ma disse anche “quando sono debole, è allora che sono forte”.
Alcune volte c’è bisogno di una testimonianza pubblica, che sfidi le autorità ed il potere politico. Più spesso nella vita quotidiana si offre una testimonianza con una parola gentile o una mano tesa. E di pregare sempre.
I martiri non cercano lo scontro in vista di un conflitto. Portano il suo peso e cercano la riconciliazione. 
Perciò invochiamo la misericordia di Dio, alziamo la nostra voce contro l’ingiustizia e trasformiamo l’ostilità in perdono, amicizia ed atti di misericordia. 
Questa è la nostra strada verso la pace, la strada di vivere una testimonianza nel dialogo – sulla via verso la riconciliazione e la resurrezione qui e adesso, e con la speranza che condividiamo.