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Stefania Murari

Comunità di Sant'Egidio, Italia
 biografia
Mi fa molto piacere poter intervenire a questo Panel “La solidarietà tra generazioni”. 
 
Gli anziani hanno accompagnato fin dall’inizio il cammino della Comunità di Sant’Egidio. Negli anni ’70, quando Sant’Egidio era principalmente una realtà giovanile, ci fu l’incontro con gli anziani del quartiere di Trastevere, dove la Comunità aveva trovato la propria casa nel monastero di Sant’Egidio: anziani  “romani”, attratti da quei giovani cordiali che si fermavano a parlare con loro. Ma anche quei primi giovani della Comunità di Sant’Egidio sentirono forte l’attrazione per gli anziani. Furono colpiti soprattutto dalla loro povertà e dal loro bisogno di amicizia. Erano gli anni del 68: anni di fermento in cui i giovani facevano rumore, attiravano l’attenzione e si imponevano nel dibattito culturale e politico. Il mondo degli anziani appariva invece residuale e per questo spesso veniva ignorato. Effettivamente in quegli anni legarsi agli anziani era davvero una scelta originale. 
 
Dopo 50 anni la situazione è molto diversa: i giovani sono pochi, e si tende a metterli in un angolo, e gli anziani sono sempre più numerosi e fanno paura. Parlare della vecchiaia oggi vuol dire affrontare un tema attualissimo. Il secolo della globalizzazione è infatti anche il secolo della longevità. L’invecchiamento della popolazione è uno dei fenomeni più significativi del 21esimo secolo ed avrà conseguenze di ampia portata. Purtroppo spesso si parla dell’invecchiamento demografico come se rappresentasse un problema, in realtà è prima di tutto una buona notizia.
 
Vuol dire che tutti abbiamo una lunga prospettiva di vita davanti. Ma esiste il rischio concreto che questi anni che ci sono donati in più possano trascorrere in solitudine. La solitudine oggi è un problema che non riguarda solo gli anziani.  Il rapporto dell’Istat 2018 ci dice che il 13 % degli italiani ritiene di non avere nessuno a cui chiedere aiuto. Ormai ci si è abituati a relazioni sempre più rarefatte, ci si è abituati a trascorrere molto tempo da soli ed addirittura a vivere da soli. Nel nostro continente il 33% delle famiglie è composto da una sola persona ed all’interno di questa categoria gli ultrasessantacinquenni sono il 40%.  La Gran Bretagna per contrastare il fenomeno dell’isolamento sociale ha addirittura istituito all’inizio di quest’anno un Ministero per la Solitudine.
 
Marco Impagliazzo in un recente articolo su Avvenire così ha scritto sul fenomeno:  “Assistiamo all’avanzare di un nuovo tipo di umanità, sempre meno sociale e sempre più solitaria nell’avventura della vita. Con tutte le implicazioni politiche, economiche e sociali che questa rivoluzione sul lungo e medio periodo porta con sé.”
 
Questo cambiamento antropologico può avere conseguenze drammatiche, in particolare per le persone più fragili della società. L’isolamento rappresenta per esempio in vecchiaia un vero e proprio fattore di rischio. La solitudine per gli anziani è insidiosa come e più di una malattia ed aggrava la debolezza delle loro vite già invecchiate. A questo si aggiunge la vergogna e la fatica di dover chiedere aiuto perché le proprie pensioni non sono sufficienti per vivere dignitosamente. Ormai è frequente vedere gli anziani alle mense per i poveri. In Italia la maggior parte delle pensioni sono sotto i 1000 euro. E’ giusto sfatare un pregiudizio: gli anziani, spesso accusati di rubare risorse e ricchezze ai più giovani, sono in realtà poveri. Anche perché le malattie, che inevitabilmente accompagnano la vecchiaia, complicano ancor di più la loro vita e comportano un gran dispendio di risorse economiche. Insomma nel tempo del declino delle forze aumentano inevitabilmente i bisogni. La povertà degli anziani è fatta di tante cose: pensioni basse, problemi abitativi, non autosufficienza, perdita di ruolo sociale, scarsa istruzione e solitudine.
 
Allora ci chiediamo oggi quale è la strada per spezzare l’isolamento sociale, di cui gli anziani sono le principali vittime, e contrastare quello che appare come un vero e proprio cambiamento antropologico. Sicuramente è fondamentale stabilire un’alleanza tra generazioni.  Un’espressione di questa alleanza è il rapporto che si crea tra gli anziani e gli stranieri che li assistono. Molti anziani hanno un’empatia per le storie di sofferenza che spingono ad emigrare, perché hanno conosciuto la guerra e le privazioni, e infatti difendono il valore dell’accoglienza. La solidarietà tra generazioni diverse è uno degli antidoti più efficaci contro l’isolamento. E’ un modo per ritessere quei rapporti umani che nelle nostre società si sono troppo sfilacciati o addirittura perduti. Il 23 ottobre  Papa Francesco incontrerà giovani ed anziani di tutto il mondo in un evento dal titolo significativo : “La saggezza del tempo”. Effettivamente un tempo saggio è un tempo in cui giovani ed anziani sono gli uni accanto agli altri. 
 
Gli anziani del resto sono già una grande risorsa per le famiglie, in particolare per i nipoti, che amano la loro compagnia. E’ sempre più frequente che gli anziani utilizzino parte delle proprie risorse economiche, anche se esigue, per sostenere figli e nipoti, rimasti senza lavoro. Pensiamo poi a quante famiglie italiane trovano sostegno nei nonni, che sono anche veri e propri educatori.  Mi hanno sempre colpito da bambina i racconti di mia nonna sugli anni dolorosi della guerra. Gli anziani, che hanno conosciuto la sofferenza della guerra e la predicazione dell’odio, sono testimoni viventi dell’importanza della pace per una generazione di giovani  ed adulti che può essere tentata dalla violenza. Ci insegnano che il futuro non può essere gli uni contro gli altri e che la pace è la più grande ricchezza che abbiamo oggi in Europa.  
 
Ho incontrato sin da giovane, grazie alla Comunità di Sant’Egidio, gli anziani , che da molti anni mi sono vicini con la loro presenza amica ed affettuosa. Credo che l’incontro con gli anziani abbia rappresentato per la mia vita un vero e proprio dono. Al contrario di quello che spesso si dice, rimanere accanto agli anziani è un buon investimento.  Gli anziani, apparentemente tagliati fuori dalla corsa della vita, sanno cogliere l’essenziale e mi hanno insegnato il grande valore dei rapporti umani.  Cercare di rispondere alle tante domande degli anziani: “Io per cosa vivo? Per chi esisto? A chi sono utile?”, che in realtà esprimono una grande voglia di vivere, mi ha spinto ad interrogarmi sul senso profondo della vita. Insieme agli anziani ho imparato a lottare contro la solitudine, che oggi molte persone vivono con naturalezza, senza capirne la pericolosità.
 
Negli anni molti giovani e giovanissimi della Comunità di Sant’Egidio hanno fatto visita agli anziani soli in casa o negli istituti, raccogliendo la richiesta di aiuto di un’anziana, Anna,  che aveva scritto nella solitudine di una casa di riposo:“Che cosa posso fare, io, ancora? Posso essere un’amica. E pure un'amica fedele. Si. Se cercate un'amica venite a trovarmi. Ho del tempo e non mi disturberete. Mi sono detta: "Un'ora di tempo". Il vostro e il mio. Per diventare amici, per contare per qualcuno.” 
 
Anche io tutte le settimane accompagno un gruppo di giovani studenti a trovare gli anziani in un Istituto alla periferia di Roma.  Gli anziani ci dicono sempre che portiamo la luce. Effettivamente una delle prime cose che facciamo è accendere la luce in stanze buie, abitate dalla noia di giornate tutte uguali. Gli anziani che attendono alla finestra il nostro arrivo e si preparano all’incontro indossando i vestiti più eleganti dimostrano ai giovani, che nella nostra società sentono di contare poco, di poter essere invece importanti.   Cosi Giulia, che ha 16 anni, si è sentita dire: “Senza di voi mi lascerei andare,  non saprei cosa fare delle mie giornate”. Pochi giorni fa Augusta, che ha 86 anni, mi ha detto. “Da quando venite a trovarmi ho scoperto che vivere mi piace ancora tanto”. Giovani soli, abituati alle relazioni virtuali imparano nell’amicizia con gli anziani il valore della conversazione, del fermarsi ad ascoltare. Insieme agli anziani si scopre con sorpresa la propria capacità di amare e comunicare. Un ragazzo una volta mi ha detto: “Mi piace parlare con gli anziani perché da loro non mi sento giudicato”. Gli anziani infatti non giudicano, vedono solo il buono di chi va a fargli visita e spesso ci dicono che siamo belli, che siamo come angeli. Nella fedeltà di un’amicizia, che non vuole deludere le attese degli anziani, e non vuole venir meno alla promessa di tornare, si impara la  bellezza di assumersi un impegno. Nell’incontro, in particolare con gli anziani confusi, si impara l’arte paziente dell’amore che cerca la strada per rassicurare ed orientare chi si sente perso tra i propri ricordi. Gli anziani, con la loro debolezza, ci insegnano a comprendere il senso vero della vita, a spendersi per ciò che veramente vale: proteggere chi è debole e solo. 
 
L’invecchiamento demografico è però un problema globale. Anche in continenti giovani, come l’Africa, la presenza degli anziani diviene significativa e  a volte è percepita come un problema. I giovani della Comunità di Sant’Egidio in Africa con la loro amicizia, molto concretamente salvano anziani soli accusati ingiustamente di essere stregoni. Infatti, in Africa, da alcuni anni, la cultura che vedeva gli anziani come custodi rispettati della tradizione, ha ceduto il passo al sospetto e alla diffidenza, fino all'accusa di stregoneria, sfociata anche in violenze e linciaggi. Si è diffusa la superstizione che sia la stregoneria a consentire ad alcuni di invecchiare mentre tanti giovani muoiono troppo presto. In Mozambico Acàcio, ormai anziano, accusato di essere uno stregone, viveva in condizione di estrema miseria in una capanna senza tetto ed impossibilitato a muoversi a causa di una paralisi. Allontanato da tutti, non avrebbe potuto sopravvivere senza l’aiuto dei giovani della Comunità di Sant’Egidio che oltre a riparargli la casa gli hanno procurato una sedia a rotelle. Quando la prima volta hanno bussato alla sua porta Acàcio era addirittura spaventato perché si aspettava un’aggressione più che un’ offerta di aiuto. In questi casi la presenza coraggiosa dei giovani della Comunità accanto agli anziani può fare la differenza e contrastare una cultura cattiva che insegna a guardare chi è più debole come un nemico. 
 
Insegnare ai giovani a voler bene agli anziani vuol dire aiutarli a crescere in modo sano. L’eliminazione della vecchiaia rende la società più disumana; propone un modello di uomo vincente, forte, produttivo, e senza fragilità, che non esiste nella realtà. E’ un modello che spinge alla competizione e costringe giovani ed adulti al confronto con un’immagine irraggiungibile, perché finta. E’ un modello che ci fa sentire tutti inadeguati ma anche che lascia impreparati di fronte ai problemi e alle tempeste della vita. Conoscere ed amare la debolezza sin da giovani rende invece forti. Infatti è l’incontro con il bisogno degli altri la vera scuola dell’esistenza umana. Questo discorso è valido però anche per altre generazioni. Gli adulti per esempio tante volte fuggono l’incontro con gli anziani perché non vogliono pensare agli anni che passano anche per loro. Rimandano il confronto con la vecchiaia,di cui hanno paura, evitando gli anziani. Ma non è vero che la vecchiaia produce un contagio di tristezza. Certo, l’anziano è lo specchio della nostra debolezza. Nell’anziano vediamo quello che anche noi saremo, vediamo la debolezza di cui è impastata la vita di ogni uomo ma  impariamo anche a non temerla come una sconfitta. Non è infatti la debolezza che si deve fuggire ma la solitudine. Essere accanto agli anziani mi ha reso saggia perché mi ha insegnato la forza di una vita che, sin dalla giovinezza, non si  isola  e difende lo spazio dell’amicizia.
 
Bauman, che è stato un interprete illuminato del nostro tempo, ha giustamente osservato: “La portata di un ponte si misura dalla forza del suo pilone più debole. La qualità umana della società dovrebbe misurarsi sulla qualità della vita dei suoi soggetti più deboli.” Costruire insieme una società in cui gli anziani, che sono i più deboli,  sono protetti significa infatti costruire una società migliore per tutti.
 
Rispondere al problema della solitudine degli anziani vuol dire rispondere anche al problema della nostra solitudine, della solitudine di tanti giovani, e di tanti adulti che già prima della vecchiaia cominciano a vivere soli. Legarsi agli anziani vuol dire scoprire l’attrazione che suscita proprio la loro debolezza. La fragilità genera infatti voglia di proteggere, spinge ad essere migliori e a cercare la strada per consolare ed aiutare.  Gli  anziani accanto alle generazioni più giovani sentono di avere ancora un posto nella storia e nel mondo. E i giovani accanto agli anziani imparano a non avere paura della debolezza e della fragilità. Quello tra generazioni è un rapporto fecondo che guarisce i giovani e gli adulti dall’egoismo e gli anziani dalla solitudine e assicura a tutti un futuro migliore.