Gli anziani e i giovani sono classificati diversamente se prendiamo in considerazione il potere, l’esperienza, la maturità, la memoria, la sapienza, la comunicazione e la flessibilità. Nei tempi passati, i vecchi avevano il valore dell’oro e ci si aspettava che i giovani li seguissero. L’obiettivo dell’alleanza tra giovani e anziani era quello di garantire la continuità e di controllare il cambiamento. Oggigiorno, le politiche giovanili di vari stati, persino i programmi delle Nazioni Unite per i giovani consigliano loro di seguire gli anziani in quanto fonti di saggezza.
Nel mondo di oggi il rapido progresso delle tecnologie, dell’economia, della medicina, delle comunicazioni così come di molti altri settori ha migliorato la condizione della vita umana in maniera così straordinaria da accrescere il divario fisico tra vecchi e giovani in modo altrettanto eccezionale. Tutto ciò ha, tuttavia, anche turbato l’equilibrio della popolazione, nelle nazioni sviluppate la percentuale della popolazione anziana è di gran lunga maggiore di quella giovanile, nelle nazioni in via di sviluppo questo rapporto è invertito, i giovani sono di più. Tale squilibrio demografico causa altri tipi di disuguaglianza tra le generazioni sia nelle nazioni sviluppate che in quelle in via di sviluppo e non solo perché gli anziani vivono in media più a lungo, non mi trovo per inciso contrario al fatto che i giovani si prendano cura dei vecchi. Questi gap generazionali pongono delle sfide a livello più profondo e chiedono una riflessione in una prospettiva più ampia.
Si può dire che il gap generazionale si esprime sempre più in termini di conoscenze, abilità, attitudini innovative e capacità di comunicazione colloquiale nella vita quotidiana. Non è più solo una distanza tra giovani e vecchi all’interno di un’unica generazione, in molte nazioni esistono varie generazioni che coesistono e esprimono visioni del mondo diverse dal punto di vista culturale, religioso, etnico. Non mi riferisco solo alle sfide poste dalle migrazioni, ma voglio sottolineare in particolare che la coesistenza di più generazioni è un fenomeno sempre più diffuso nel mondo globalizzato. In Olanda sono stati attuati di recente degli esperimenti di convivenza tra giovani e anziani che hanno evidenziato l’assoluta necessità di colmare il divario generazionale. L’iniziativa ha dimostrato la possibilità che tale alleanza colmi varie disuguaglianze tra più generazioni. Il successo di questo esperimento ha dimostrato prima di tutto che queste differenze non sono reali e che possono essere colmate affrontandole con cura e attenzione. In secondo luogo ha fatto comprendere che il gap generazionale non riguarda l’età anagrafica e non è circoscritto all’ambito familiare. In terzo luogo ha chiarito che è essenzialmente una difficoltà di comunicazione e va affrontata esattamente come tale. Infine, l’esperimento ha dimostrato che è stato un errore considerare la distanza tra le generazioni come conservatorismo e conflitto tra anziani e giovani. E’ necessario confrontarsi con questo fenomeno complesso, anche se non è possibile farlo qui nel corso di questo breve intervento. Mi concentrerò solo sul problema della comunicazione e mi limiterò a trattarne l’aspetto religioso.
Voglio soffermarmi sulla religione perché il concetto del gap generazionale ha influito molto sulla religione e perché le varie tradizioni religiose hanno cercato di colmare questo divario tra generazioni mantenendo le comunità religiose coese. Hanno dimostrato che l’idea del gap generazionale può diventare una scusa per eludere la nostra responsabilità di comunicare in modo efficace. L’obiettivo della comunicazione non è semplicemente trasferire le dottrine ereditate ma far passare un messaggio in modo che sia comprensibile a chi lo ascolta e allo stesso tempo trasmettere la responsabilità di quella comprensione agli ascoltatori.
Uno dei motivi della difficoltà di comunicazione è la natura scrupolosa di quella religiosa, che si concentra sulle sfumature teologiche e sulla terminologia metafisica piuttosto che sui fini della comunicazione. Tanto che la scolastica a volte accusa di laicismo gli oratori religiosi popolari. Nelle società musulmane, le autorità accusano intellettuali religiosi popolari di causare delle controversie e ritengono che solo personalità con un alto grado di istruzione formale siano qualificate per parlare dell’Islam.
Ricordo a questo punto il grande teologo musulmano indiano degli inizi del ‘900, Ashraf Ali Thanawi che era ben consapevole della sua debolezza rispetto agli studiosi religiosi. Prese l’iniziativa di parlare agli studenti musulmani dell’università Aligarh, i quali non avevano nessuna familiarità con il linguaggio teologico. Paradossalmente, anziché chiedere ai professori di teologia di parlare con parole semplici, chiese agli studenti di sedersi frequentemente in compagnia di tali dotti così da poter comprendere i termini e i concetti che loro esprimevano. Non era solo un problema della lingua resa più difficile da parole in arabo classico, latino, ebraico e sanscrito, ma anche la metafisica e la visione del mondo nella quale si esprimono concetti religiosi ad ascoltatori che non condividono quella visione del mondo. Il problema è ricostruire una nuova teologia che sia comprensibile ai giovani di oggi. Nel mondo globalizzato, abbiamo bisogno di costruire alleanze a più livelli tra giovani e anziani per costruire ponti di pace. E’ necessario sviluppare un linguaggio con cui conversare tra credenti e non credenti. Dobbiamo sviluppare una visione del mondo per trovare un terreno comune sul quale far crescere i nostri sogni.
Concluderò il mio discorso con una poesia popolare del grande poeta urdu del Pakistan Amjad Islam Amjad. L’ho tradotta in inglese e mi assumo la responsabilità per l’inglese non perfetto e la mancanza di rima e di ritmo. Il poeta compose questa poesia per il figlio Zeeshan raccontandogli che ogni generazione ha i suoi sogni, spiegandogli perché faccia fatica a affidare ai giovani i propri sogni e come ogni generazione interpreti i sogni del proprio tempo e del proprio spazio e vado avanti.
Figlio mio, sei nato in un mondo nuovo
Come posso affidarti i miei sogni?
Ho attraversato colline, fiumi, corsi d’acqua
Per poter rimanere fedele alle mie parole
Potresti prenderti i miei sogni e fingere di obbedire
ma la tua vita e il tempo in cui vivi non sono uguali ai miei,
potresti non dare importanza alle stesse cose a cui lo do io
potresti non credere a ciò in cui credo,
non hai i miei stessi ricordi
sperimenti stagioni e fiori che mi sono estranei,
il tuo modo di vivere è differente dal mio
come posso parlare la tua lingua?
Come posso proteggerti in questo mare tumultuoso?
Ogni figlio sin dai tempi di Adamo
Deve essersi domandato, proprio come fai tu,
devo amare ciò che è vecchio per amare i vecchi?
Le storie di amore che sono state raccontate sono sempre le stesse,
non c’è nulla di nuovo
devo raccontarti di mio padre?
Credo che abbia sempre parlato del tempo passato,
di monete d’oro che avevano perso la loro lucentezza,
di tempi e di modi ormai spariti.
Ma ora ho compreso,
sono i tuoi occhi che vengono a abbagliare
ci mostrano mondi così nuovi e pieni di meraviglie
la verità si scopre sempre troppo lentamente.
Come posso dirti quello che succederà un giorno?
Racconterai questa stessa storia a tuo figlio
Angosciato dalle ombre striscianti del sole che sta per tramontare
chiedendoti perché attende il nuovo giorno con così grande trepidazione.