17 Novembre 2008 09:30 | Hilton Cyprus - Ballroom B

Panel 2 - Giovanni Paolo II e la profezia della pace

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Presiede

Vincenzo Paglia

Arcivescovo, Presidente della Pontificia Accademia per la vita, Santa Sede


Intervengono

Jean-Dominique Durand

Storico, Presidente dell'Amicizia Ebraico-Cristiana di Francia

Mohammed Esslimani

Teologo, Arabia Saudita

Jürgen Johannesdotter

Vescovo luterano, Germania

David Rosen

Rabbino, consigliere speciale della Casa della Famiglia Abramitica (AFH) di Abu Dhabi, Israele

Serafim

Metropolita ortodosso, Patriarcato di Romania


La vita di Giovanni Paolo II è stata costellata di interventi riservati ed efficaci per salvare vite e per promuovere in ogni circostanza la pace. Nuovi particolari su di lui sono emersi al meeting di Cipro ‘La civiltà della pace: religioni e culture in dialogo’ promosso dalla Comunità di Sant’Egidio con l’arcidiocesi ortodossa dell’isola. Li ha svelati il cardinale arcivescovo di Cracovia Stanislaw Dziwisz in un confronto a più voci su Giovanni Paolo II, il fondatore dello “spirito di Assisi”  che lungo 22 tappe, dal 1986, è stato raccolto e diffuso da Sant’Egidio. Sono passati 22 anni da quel primo incontro che ha aperto nuove prospettive all’umanità, un vero e proprio cantiere al quale Wojtyla ha dato l’impronta.  Wojtyla, spiega Dziwisz, colse nuove situazioni e sfide grazie a una sensibilità maturata in una fede profonda e al confronto, vissuto, con due totalitarismi, il nazismo e il comunismo. “Diventato Papa – racconta il cardinale – sentiva la responsabilità di dovere guidare non soltanto la chiesa cattolica, ma anche di dovere entrare in dibattito sui grandi problemi del mondo d’oggi, per servire l’uomo, indipendentemente dalla sua razza, lingua e religione”. Risultato: contatti ecumenici con le altre chiese e comunità ecclesiali, dialogo con le grandi religioni e, più in generale, con gli uomini di buona volontà. Ed ecco una sorta di metodologia: di fronte a conflitti, tensioni, attacchi terroristici, Giovanni Paolo II convocava colloqui con i suoi più stretti collaboratori, traducendoli in interventi pubblici e in interventi “spesso riservati, ma efficaci”. Sottolinea Dzwisz che “è difficile contare tutti i suoi appelli per salvare la vita delle persone, per alleviare le sofferenze di vittime innocenti, per salvare la pace”. Se un’arma aveva era quella della preghiera. Tutti questi problemi li portava a Dio. “Mai dimenticherò la figura del Santo Padre in ginocchio, davanti all’altare, dopo aver appreso la notizia su un avvenimento che minacciava la pace nel mondo”. “La pace è il risultato del rispetto della verità, della dignità della persona umana, della libertà e Giovanni Paolo II non si risparmiava per contribuire alla realizzazione di queste condizioni… creava occasioni di incontri”.

Espressione forte di questo stile interiore è stata la Giornata mondiale di preghiera per la pace ad Assisi, il 27 ottobre 1986. Wojtyla sapeva bene che la pace non si costruisce da soli e cercava di coinvolgere sempre più persone possibili: “Uno degli ambienti che comprendeva e condivideva il suo desiderio di pace e sul quale egli volentieri si appoggiava era l’ambiente della Comunità di Sant’Egidio, che divenne uno degli eccezionali strumenti di questo coinvolgimento”. Non a tutti erano chiare le prospettive di dialogo inaugurate ad Assisi dal Papa. All’inizio, infatti, sembrava la preghiera dei rappresentanti delle religioni per la pace “sarebbe stata un’occasione puntuale, senza continuità. Ben presto però divenne chiaro che questo evento apriva una nuova strada, apriva un nuovo orizzonte che andava ben oltre gli schemi a cui eravamo abituati e richiedeva il coinvolgimento di tutte le forze della Chiesa”. Fu così anche per la giornata dell’incontro con i giovani musulmani, nello stadio, gremito, di Casablanca nell’agosto del 1985. Allora i dubbi che furono opposti al Papa erano sull’inopportunità di parlare di Gesù ma Wojtyla rispose “i giovani sanno che sono il pastore della Chiesa cattolica. “Quei giovani – ricorda Dzwisz – non ebbero il discorso prima che venisse pronunciato, ma lo ascoltarono con attenzione applaudendo con intensità molti passaggi che li toccavano”. “Wojtyla ha vissuto l’indispensabilità dell’incontro diretto e ha riproposto la Chiesa come segno e strumento dell’unità della famiglia umana, per cui esistono le differenze, ma non ci separano”, sottolinea monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni, che ha moderato il confronto.

“Wojtyla ha cercato di definire linee di comportamento comuni per vivere l’unità nella diversità”. Per il teologo islamico Mohammed Esslimani, una fede radicata, come in Giovanni Paolo II, nel dialogo con Dio, elimina molti motivi di separazione. “Ricordo la visita a Casablanca – ha spiegato - Ha avuto un impatto notevole perchè per noi il cristianesimo nel Nord Africa era connesso al colonialismo.  La visita del Papa ha cancellato questa immagine cupa che c'era presso la gente”. Il mondo islamico continua a ricordare questo Papa per la sua posizione dopo l’11 settembre, tesa ad evitare guerre, e “perché nuotava controcorrente”. Il raduno di Assisi, in particolare, è stato “eccezionale sotto ogni punto di vista. Da allora ne ricaviamo ottimi orientamenti”.

Rabbi David Rosen, presidente dell’International Jewish Committee for Interreligious consultations, di Israele, nota come “per Wojtyla, il rapporto con gli ebrei non era una questione teorica o prettamente teologica, ma parte integrante della sua stessa vita, plasmata dalle amicizie della sua gioventù e segnata dal trauma della Shoah e dalle sue implicazioni”. La visita alla sinagoga di Roma nel 1986 e il suo pellegrinaggio in Terra Santa nel 2000 “hanno avuto un effetto straordinario sul modo in cui gli ebrei hanno cominciato a vedere la Chiesa, ma non hanno avuto un effetto meno importante sul modo in cui in particolare i cattolici, e più in generale i cristiani, hanno cominciato a vedere gli ebrei, l’ebraismo e lo Stato ebraico”. Indubbiamente “davanti a noi ci sono ancora delle sfide per il rapporto tra cristiani ed ebrei e sarebbe irrealistico aspettarci che non ce ne fossero. Tuttavia questo rapporto riflette una delle più straordinarie trasformazioni della storia, dal rifiuto all’amore, dall’alterità alla riconciliazione, dalla violenza all’abbraccio; e in questo processo Giovanni Paolo II fu davvero un grande profeta di pace”.

Il metropolita ortodosso Serafim, del patriarcato di Romania, riconosce in Giovanni Paolo II il profilo dell’ “avvocato dei poveri”. “Nei suoi più di cento pellegrinaggi su scala planetaria – spiega-  il suo messaggio di fede, di fiducia e di pace ha toccato i cuori di milioni di persone delle culture più diverse”. Non ha smesso di condannare la guerra e di farsi mediatore nei conflitti del mondo “e poichè la guerra è provocata spesso dalla povertà, si è sempre fatto avvocato dei poveri. Ha condannato senza riserve il Nord opulento che si arricchisce a scapito del sud povero ed esortò la condivisione dei beni materiali”.

Nel tracciarne un ritratto a tutto campo, lo storico Jean Dominique Durand, ricorda do Wojtyla l’espressione  “Non abbiate paura”, un’affermazione “che implicava un diritto all’intervento, all’ingerenza nella vita internazionale e nella vita degli Stati per condurre il mondo sulla via del progresso, della civiltà, della pace”.



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