Latifa Ibn Ziaten French
Witness, President of the Association for Youth and Peace (IMAD), Francebiography
LA VITTORIA DI “ME”,
È LA MORTE DELL’ALTRO
Il sé trionfante è la via verso la radicalizzazione, l'odio verso l'altro e, alla fine, il
terrorismo. È stato uno di questi “io” trionfanti a uccidere mio figlio. Un giovane radicalizzato che si nutriva di idee che rafforzavano le sue convinzioni, che andavano tutte nella stessa direzione, diffuse da persone che la pensavano tutte allo stesso modo, ecc. Tutto confermava questo giovane nella convinzione che era nella Verità e che chi non aderiva alla sua Verità doveva morire.
RICOSTRUIRE IL “NOI”,
UNA NECESSITÀ IMPERIOSA
Ricostruire il “noi” è chiaramente una necessità. Il primo passo è quello che io chiamo “Vivere insieme”. Si tratta di rispettare quegli altri che non sono me, che non pensano come me, che non hanno la mia stessa cultura o convinzioni. Significa accettare la loro differenza e dire a me stesso che hanno lo stesso diritto di esistere quanto me. Significa anche rispettare regole comuni che permettano a tutti di vivere in pace.
“Vivere insieme, vivere in pace” è lo slogan dell’Associazione da me fondata per i Giovani e la Pace.
COME FARE,
QUALE PERCORSO SEGUIRE?
Una volta che siamo consapevoli che l'"Io" trionfante porta a desiderare la morte dell'altro, e che dobbiamo ricostruire il "Noi", quale strada dobbiamo intraprendere? Come fare?
1. COMPRENDERE PIUTTOSTO CHE GIUDICARE
Tendiamo a giudicare ciò che non comprendiamo. Ed è più facile giudicare che cercare di capire. E anche quando non giudichiamo, tendiamo a nasconderci dietro una spiegazione, senza cercare di capire.
Tutto ciò che ha a che fare con l’Umano non si può spiegare, si può comprendere. Ciò che è scientifico e razionale rientra nel dominio dello spiegabile. Ma ciò che è umano, ciò che è sociale, si può apprendere solo cercando di "comprenderlo"... E questo significa
Mettersi nei panni dell'altro, adottando un modo di pensare più ampio, capace di adottare lo sguardo dell'altro per comprenderlo. Ci vuole tempo e un reale coinvolgimento personale.
Io, quando faccio conferenze e incontro i giovani, li ascolto, cerco di capirli. Del resto nessuna delle mie conferenze è uguale alle altre, perché mi adatto completamente alle persone che sono lì, presenti. Non do lezioni, non trasmetto un messaggio, no: ascolto e scambio! È un dialogo in cui cerchiamo di capirci a vicenda, con compassione, empatia e benevolenza. Ammetto che ci vuole molta più energia che leggere un discorso preparato. Provo a mettermi nei loro panni. È da dentro che sento i loro problemi. E questo, lo sentono.
Sarebbe così facile restarne fuori e spiegargli questo o quello.
2. SOSTITUIRE IL COMFORT CON LO SFORZO
A tutti noi piace la comodità, è vero.
Ma andare dall'altro non è “comodo”. Vuol dire confrontarsi con altre idee, altri punti di vista, altre culture. C'è uno sforzo da fare.
I social network offrono conforto. Tutto è fatto affinché ci ritroviamo lì "tra di noi". I legami che creiamo con le persone dall'altra parte del mondo si basano su un'idea semplice e attraente: "è lo stesso che amo!". Veniamo messi in contatto con persone che ci somigliano, che condividono le nostre idee, le nostre passioni, i nostri gusti: insomma persone come me, con cui mi trovo bene. È un'aggiunta di "me" che pensa come "me" a cui piacciono le stesse cose di "me".
E un “me” + un “me” + un “me” + un “me” non danno un “Noi”.
“Noi” è più di un’aggiunta di “me”.
Quando porto i giovani del quartiere nei luoghi educativi del Marocco, cerco di tirarli fuori dalla loro "zona di comfort", uscendo da ciò che li circonda. Li porto lontano da casa, lontano dai codici che conoscono, lontano dagli altri giovani come loro. L'idea è portarli fuori dalla loro quotidianità e dalle loro abitudini per immergerli in un altro ambiente.
3. PRENDERE UN APPROCCIO CONTRARIO
Con la modernità non abbiamo più “bisogno” di rivolgerci verso l’altro che è diverso da me. Possiamo avere quasi tutto senza dover affrontare chi non è come me. Ieri la dipendenza ci costringeva a rivolgerci agli altri: avevamo bisogno di loro per questo o quello. Oggi la libertà e l’autonomia ci liberano da questo processo. Non abbiamo più bisogno del “noi”. E, come se ciò non bastasse, i coach dello sviluppo personale e del benessere, profeti dei tempi moderni, ci sollevano dai sensi di colpa dicendoci di pensare solo a noi stessi, di vivere soprattutto per noi stessi e soprattutto di tagliare i legami con le persone che ci danno fastidio, di cacciare dalla nostra vita le persone che rischiano di contraddirci, di evitare le persone che hanno problemi, che si lamentano (penso qui agli anziani, ai soli o anche ai malati).
Ricostruire il “noi” quindi non è ovvio e non sarà fatto senza una scelta e una volontà reale. E per questo bisogna essere pronti ad andare controcorrente.
Il Noi si costruirà resistendo alla corrente, come la pulsione vitale resiste alla morte. Insieme possiamo riuscirci. La differenza è una ricchezza. Il “noi” è forte di questa ricchezza. Il “noi” dà significato alla nostra vita. La nostra umanità è nel “noi” e anche la nostra fede. Da soli siamo solo individui, siamo solo dei “me”; insieme siamo una Umanità, un solo “Noi”.
Quindi insieme, (ri)diventiamo quello che siamo!