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Antonio Ferrari

Journalist and writer, Italy
 biography

 “Human Fraternity” è un titolo, e soprattutto una promessa, che mi affascina e insieme mi spaventa. Mi affascina perché credo sia l’unica strada che possiamo percorrere insieme per migliorare il mondo, evitarne la distruzione, e migliorare noi stessi. Mi spaventa perché in queste società superficiali e impaurite, con il complesso dei muri e dei ghetti, chi viene additato come un sostenitore della convivenza e dell’apertura ai più deboli viene considerato un nemico da combattere. Apro questo intervento, e sono grato per l’invito a Madrid della Comunità di Sant’Egidio, con un sincero omaggio all’unico vero interprete della più profonda fraternità umana che è Papa Francesco. La sua missione negli Emirati Arabi Uniti rappresenta uno dei più alti momenti per illuminare di luce il nostro viaggio nel tunnel del rancore e dell’odio diffuso, nella speranza di non perderci.

 
Seguo il Medio Oriente, il nord Africa e i Balcani per il mio giornale, il Corriere della Sera, da oltre quarant’anni, e vi confesso che non sono mai stato così confuso e sconcertato. La regione che conobbi quando ero un giovane inviato assetato di curiosità è davvero molto diversa da quella di oggi, che frequento -nonostante la rarefazione delle visite per motivi anagrafici- con pari curiosità ma spesso senza bussola.
 
Ho conosciuto il Libano della guerra civile; la Siria del regime alauita di Hafez el Assad, padre dell’attuale leader Bashar, che sognava il socialismo e guardava ai Paesi dell’Est. Ho conosciuto l’Iraq nel laico periodo del dittatore Saddam Hussein, piegato da una guerra feroce e spietata. Ho conosciuto l’Iran dell’ayatollah Khomeini e gli albori, che allora era difficile valutare, di un nuovo Medio Oriente. Come dice lo studioso francese Gilles Keppel, due novità hanno rivoluzionato il quadro: la “nascita” e la crescita dell’Islam politico, fino alle aberrazioni terroristiche di Al Qaeda e dell’ISIS, e l’impetuoso impennarsi del prezzo del petrolio, soprattutto dopo la guerra del kippur nel 1973. Il mondo che abbiamo conosciuto e seguito negli anni successivi, in particolare nel Medio Oriente, è diventato simile a una roulette di umori e posizioni, complicata dalla nascita di un nazionalismo, o micronazionalismo sovranista che ha eletto a divinità l’egoismo di tutti, nessuno escluso. Negli Stati Uniti l’impeto sregolato di Trump. In Russia il regime di Putin, che di sicuro non ama i diritti umani. In Turchia la guida dittatoriale e illiberale del presidente Erdogan, che si inventa di tutto, anche i golpe, per colpire gli oppositori. L’onda nefasta si allunga al Medio Oriente; dall’Arabia Saudita all’Iran, dal piccolo ma ambizioso Qatar all’Egitto che ha scelto una dittatura dopo la parentesi dei Fratelli musulmani, che avevano schiacciato, con le presunte primavere arabe, il tranquillo navigare del presidente Hosni Mubarak. Oggi il presidente Al Sisi, con le sue alleanze spregiudicate e un interno regime di paura (penso sempre all’orribile fine del nostro fraterno collega Giulio Regeni) è la prova che il nazionalismo più esasperato è l’altra faccia del terrorismo islamico, prima di tutto sunnita ma anche sciita.
 
La verità, come ha spiegato molto bene lo storico e saggista Franco Cardini in un’intervista alla Nazione di Firenze, è che “il mondo occidentale non conosce, se non pochissimo dell’Islam e ha un’idea inadeguata come di un blocco unico di pensiero e di atteggiamenti rituali, nel quale si guarda solo al passato e si tende a respingere l’idea di innovazione, di libertà, di giustizia”, ignorando che la diffusa idea di un Islam che non conosce distinzione tra fede e politica è assolutamente falsa.
 
Credo che tutto ciò che ci unisce è soprattutto l’umanità, la fraternità. E la sintesi, come dice Cardini, sta nel confronto tra le religioni e nella ricerca di quello che le unisce. Confronto dunque non dialogo, perché le religioni essendo manifestazioni diverse dell’Assoluto, non possono dialogare. Sono gli uomini, che appartengono a sistemi religiosi diversi che possono dialogare tra loro e cooperare. E’ qui che dobbiamo riflettere e soprattutto agire. Grazie.