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François Clavairoly

President of the Protestant Federation of France
 biography
La minaccia reale che pesa sui valori fondamentali dell’Europa esige uno sforzo di pensiero.
 
L’Europa è sempre stata in crisi. Dopo molti secoli ha saputo mettersi in discussione nei periodi più cruciali della sua storia. Ha saputo interrogarsi in modo critico sul suo destino così come sulla sua vocazione. Forse questa capacità di giudicarsi non è stata sempre cosciente e lucida. Forse nei conflitti e nelle guerre che l’hanno lacerata non ha trovato rapidamente e sufficientemente la pace e l’equilibrio. Tuttavia, attraverso la ragione e i compromessi, la deliberazione e il diritto, è riuscita poco a poco ad attraversare i tempi fino ad oggi.
 
I valori fondamentali dell’Europa, quei valori che sono stati elaborati con la fatica e i conflitti delle interpretazioni, sul piano religioso e politico, i valori che sono stati finalmente stabiliti, ricevuti e validati dall’insieme dei paesi, restano il solco della sua costruzione e della sua esistenza perenne, così come del suo irradiarsi nel mondo. Questi valori sono conosciuti e decisivi: il rispetto della dignità umana, la libertà, la democrazia, lo stato di diritto, il rispetto dei diritti dell’uomo, compresi i diritti delle persone appartenenti alle minoranze (Trattato dell’Unione Europea).
 
Oggi la crisi che scuote l’Europa è di tre ordini: crisi socio-economica, crisi politica, crisi di civiltà. Evidentemente è impossibile dettagliare e descrivere in poche parole l’insieme di questo ordine di crisi, ma è necessario non separarle nei propositi e nei pensieri. È necessario pensare globalmente al soggetto a pena di non comprendere quello che accade. E quello che accade è una minaccia reale. Quello che avviene può mettere a rischio i valori fondamentali dell’Europa.
 
La realtà socio economica in crisi – e l’ultima crisi del 2008 ne è stata un terribile esempio – ha dei legami con la crisi della politica: in effetti i risultati della produttività delle imprese e la riuscita degli attori economici hanno contribuito all’arricchimento dei paesi e dell’insieme dell’Europa, ma allo stesso tempo hanno provocato l’aggravarsi della povertà e il declassamento di un gran numero di cittadini. Questi cittadini, oggi, constatano la debolezza dell’azione pubblica ed entrano in un tempo molto spiacevole di disincanto. Il potere politico non è più, ai loro occhi, il luogo del vero potere… non è nemmeno più veramente identificabile, non ha nome, non è sempre eletto direttamente, non ha un indirizzo definito né un viso e lo si nomina senza sapere di cosa si tratti di potere di Bruxelles, potere del denaro, delle potenze, dei ricchi, delle lobby, eccetera. Si fa anche credere che l’Unione Europea impedirebbe alla vera sovranità popolare di esprimersi. Il presidente della Dieta polacca, Signor Kuchinski, parla a questo stesso titolo di «impossibilismo legale ».
 
La crisi economica mette in crisi la politica in quanto portatrice di un discorso pubblico che dice quello che avviene o che avverrà. La crisi rende incerto il mondo e rende incerta la responsabilità politica. Mette in crisi la fiducia nella politica. Mina e compromette il fondamento stesso del legame di fiducia del popolo verso coloro che sono stati eletti. Mette in crisi il potere e la sovranità dei popoli e dei cittadini rappresentati dai loro eletti, nel senso etimologico della parola democrazia.
Allo stesso modo, la politica, messa in crisi, non trova più le parole soddisfacenti per indicare ai cittadini il cammino da seguire, non trova, non trova più le parole giuste e credibili per dire domani, per orientare la società e dargli significato. E infine, la crisi della politica mette in crisi la stessa società. La società – e qui si tratta delle diverse società dei paesi d’Europa, come dell’insieme della società europea – fa fatica a costruire una rappresentazione del proprio futuro. Fa fatica a proiettarsi nel futuro. Con difficoltà si percepisce come portatrice di futuro. Ed è proprio la sua autocomprensione come civiltà, la sua Weltansschauung che è messa in discussione e addirittura squalificata, quasi urtata. Parlo allora di crisi di civiltà poiché i valori stessi che fondano l’Europa sono in discussione e la cosa peggiore è che non si sa con cosa sostituirli. Ecco come questi valori sono messi in discussione:
- L’Europa si è costituita poco a poco. Ha costruito un equilibrio – fragile ma reale – tra le nazioni che la compongono. Queste nazioni, diverse ma allo stesso tempo tanto mescolate nel corso delle epoche, mai pure, mai superiori alle altre, mai omogenee, hanno accettato la condivisione di territori e valori, malgrado o a causa dei conflitti, delle guerre, delle tensioni. La guerra dei Balcani, ultimo terribile conflitto, ha mostrato questa fragilità e obbliga a prendersi ancora cura di profonde ferite appena cicatrizzate e a volte deteriorate. Valori quali il rispetto della dignità umana, la democrazia e il rispetto dei diritti dell’uomo sono stati umiliati e disprezzati, al momento di questa guerra, come tutti ci ricordiamo.  Il motivo dell’umiliazione di questi valori europei sarebbe stato non la nazione, ma il nazionalismo.
 
Il demone delle nazioni in Europa è il nazionalismo.
Ogni paese, ogni società, ogni nazione del nostro continente è chiamato a combattere instancabilmente il demone del nazionalismo. E ogni concessione fatta a questo demone, ogni resa alla violenza della rivendicazione nazionalista avvicina l’ora dei conflitti e delle violenze reciproche. La responsabilità dei politici, uomini e donne, è molto grande. Gli slogan quali “io prima”, “il mio paese prima” contraddicono i valori dell’Europa, come progetto di una casa comune, di uno stesso territorio e di un destino comune, sigillato dalla libertà e dalla fraternità e reso solido e affidabile dal diritto e dalla giustizia al posto della preferenza nazionale, dell’egoismo, della vendetta e del linciaggio verbale.
 
- Oltre al nazionalismo è anche il populismo a minacciare i valori comuni. Il populismo, essendo una forma di pensiero che sfocia nel linciaggio – mediatico o politico – o un modo di discutere che si riduce a concludere una conversazione attraverso scorciatoie o slogan, attraverso la strada più corta per uccidere l’argomento dell’avversario o ridurre il ragionamento a qualche frase chiave e a risolvere il problema attraverso l’intimidazione, l’ironia, la derisione o la denigrazione.
Il populismo è la più grave attitudine, in termini di responsabilità, poiché fa credere ai cittadini che a problemi complessi sia sufficiente una risposta semplice. Quanti partiti in Europa illudono in questo modo i loro elettori! In Francia, siamo stati quasi i primi, con il Fronte Nazionale, ad avere dopo 30 anni un tale tipo di discorso politico che unisce nazionalismo e populismo… Oggi in Germania o in Italia, giovani e meno giovani che non hanno letto niente, o ed è ancor peggio, che hanno letto bene, fanno vacillare i cittadini nelle loro riflessioni sulle problematiche fondamentali, sui valori, sugli elementi più preziosi del nostro vivere insieme. E quanto è insufficiente la risposta data dai cristiani!
 
Nel mondo cattolico europeo, come è stata pallida la risposta della Chiesa. Pietrificata nelle sue gravi difficoltà interne, marginalizzata da attitudini illeggibili al tempo presente e soprattutto screditata da posizioni a volte sfasate, a volte troppo conservatrici. Nel mondo ortodosso, quanto è stata impercettibile la parola delle chiese nazionali poiché evidentemente troppo legate allo Stato e troppo frammentarie. Nel mondo protestante, quanto diversa e troppo poco condivisa è stata la risposta, secondo i contesti e le situazioni.
 
Il populismo fa credere in effetti che il popolo sia in pericolo di dissolversi, che la civiltà stia per essere rovesciata, sostituita – la teoria della grande sostituzione è terribile – la KEK (Conferenza delle Chiese Europee) scrive così in un testo dell’agosto 2018: “Oggi, i partiti populisti conoscono una crescita e approfittano dei processi democratici per accedere al potere e trovano riconoscimento. Il declino del livello di vita e il tasso di disoccupazione in crescita, particolarmente tra i giovani, favoriscono senza dubbio il rafforzarsi di un nazionalismo estremo e l’espansione del populismo. La politica di esclusione restringe il discorso pubblico, un problema serio per le società europee. Le Chiese sono chiamate a essere una forza unificatrice nelle loro comunità locali, a stabilire legami con altri partner che condividono valori e impegno e a operare continuamente per un maggior impegno dei giovani.”   
Il Vangelo che rimette ciascuno davanti all’imperativo dell’attenzione per la persona umana resta conseguentemente una parola viva, pertinente e impertinente allo stesso tempo!
 
Oltre al nazionalismo e al populismo, il terzo pericolo è l’estremismo o sul piano delle religioni, l’integralismo e il fondamentalismo. Qui è reale il fallimento dei portatori del messaggio che sono le religioni costituite (cristianesimo, ebraismo e islam). È la questione delle identità che è in gioco. Ciò che si mette avanti è la forma di concezione organica della nazione. Se in Francia, lo Stato (centralizzatore, forte, sovrano) in un certo senso ha creato la nazione, in un processo molto lungo, in altri paesi d’Europa (come in Europa centrale) le nazioni hanno costruito lo Stato a partire da identità culturali, da lingue o dall’affiliazione religiosa. Questa concezione organica della nazione è dunque anche culturale. E in questa autocomprensione della nazione, è difficile fare posto all’altro, allo straniero, “a un corpo straniero”. Proteggere la nazione ha dunque qualcosa a che vedere con una battaglia culturale, quasi di civiltà. Questa realtà di un’Europa che valorizza l’identità culturale come valore cardinale incontra nei conflitti la realtà di un’Europa quale quella di Macron o della Merkel per i quali l’accoglienza dei migranti è nell’ordine del rispetto dei valori dell’Unione europea, così come sono fondati sui diritti dell’uomo.
 
Il populismo e l’estremismo si nutrono quindi di una qualche comprensione dell’identità, e la loro lotta, poiché mette in gioco l’identità è vitale e a volte violenta e mortale.
I cristiani e i protestanti in particolare come ha ricordato Emmanuel Macron, sono chiamati a essere le vedette della Repubblica, e io aggiungerei le sentinelle – parola laica per designare il profeta – per annunciare, denunciare ed enunciare instancabilmente.
 
Annunciare la Buona novella della salvezza in Gesù Cristo, denunciare i discorsi che deviano questo Vangelo (i discorsi religiosi o politici di odio), annunciare le vie per domani.
Non le vie che rimpiangono una societas christiana perduta e che si vorrebbe restaurare a forza di conservatorismo e fondamentalismo, non le vie della umma nella stessa Europa, ma piuttosto le vie della cittadinanza, democratiche, rispettose dei valori comuni e che riparino alle crescenti ingiustizie alle ineguaglianze.
Per illustrare, con un esempio, una di queste vie verso una Europa vigilante e sentinella, aperta e democratica, voglio menzionare il programma di accoglienza per i rifugiati in via di costruzione con i protestanti francesi, Sant’Egidio e i cattolici. La finalità è di venire in aiuto ai poveri, agli emarginati, ai rifugiati, attraverso la mobilitazione di individui e di gruppi, di parrocchie e di associazioni. 
 
La Federazione di aiuto reciproco protestante (FEP) assume un impegno in seno all’Eurodiaconia, lobby protestante o non cattolica per 32 paesi in Europa, incaricata di promuovere prospettive e un appello politico, scambiare le buone pratiche, costruire un substrato politico impegnato su questioni sociali.
Tutti i soggetti della FEP, tutte le precarietà di cui si occupa sono anche sostenute dall’Eurodiaconia: gruppi di lavoro tematici, incontri con la commissione, i deputati europei, per fare evolvere regolamenti, bilanci e legislazione.  
 
Attraverso Eurodiaconia ma non solamente, si fa strada la costruzione di relazioni bilaterali forti: essenzialmente sulla diaconia latina (Spagna, Portogallo e Italia) e con la Germania. Questi due ultimi paesi per noi sono privilegiati (Germania e Italia), tenendo conto per uno della sua forza (Diakonia Germania conta 500 000 impiegati, e la nostra prossimità culturale con la Chiesa valdese e il suo braccio armato sociale: la diaconia valdese permette la cooperazione con « Brot fûr die Welt » (pane per il mondo)  e i corridoi umanitari Europa ne sono l’illustrazione.
 
Questo embrione di comunità sociale europea può servire da pungiglione alle istanze europee: 
se gli italiani e i francesi si accordano sulla questione migratoria, potrebbe servire da modello? C’è un messaggio, un annuncio che denunci le pieghe identitarie e che enunci una possibilità di agire insieme? Nessuno lo sa. Almeno i cristiani ci avrebbero provato.
Cosa avranno provato? 
Di pensare la crisi, di guarire alcune ferite, di aiutare a passare da una crisi che rinchiude e scoraggia, a una crisi felice, promettente.
Se a causa di crisi gravi che la toccano – crisi di civiltà, crisi securitaria, crisi climatica, crisi politica ed economica -, l’Europa dimentica i suoi valori a vantaggio dei populismi e dei pericoli che conducono, allora ci viene posto un problema grave in modo collettivo, cristiani e non cristiani: l’ancoraggio democratico non sarebbe più un’evidenza per nessuno? Pericoli più grandi sarebbero allora da anticipare?    
Che grande responsabilità per le vedette, le sentinelle, i profeti.
 
 


Discorso di François Clavairoly
Discorso di François Clavairoly