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Muneto Nikai

Journalist, Japan
 biography

Il tema di oggi è incentrato sulle Religioni asiatiche, ma desidero parlare oggi  in particolare delle attuali situazioni giapponesi, in special modo di un aspetto in rapporto alla religione intervenuto proprio in conseguenza dell'immane catastrofe avvenuta per i grandi terremoti che hanno colpito le regioni nord-orientale del Giappone. Questo aspetto potrebbe essere chiamato "ateismo", ma qui non si riscontra l'atteggiamento ateista propriamente detto, del rifiuto attivo delle religioni, ma riguarda le persone che "non possiedono" le religioni.
La maggioranza dei giapponesi crede di essere "senza religione". Dipende da tipi di indagini attuate, ma in ogni modo un giapponese su due, o tre giapponesi su quattro rispondono all'inchiesta di non possedere le religioni a cui appartengono. Ogni nazione del mondo riscontra all'interno la presenza di persone che si dichiarano "senza religioni", ma la percentuale di queste persone in Giappone è tra le più alte del mondo.
In tale senso, anche se sembra inaspettato, il Giappone odierno può essere considerato un paese in cui la spiritualità religiosa visibile è molto "fievole". Il fenomeno sociale della diffusione dei riti religiosi praticati per esempio in occasione di matrimoni o funerali, è un altro discorso. I giapponesi tengono molto a questi riti, praticati con assiduità dalla maggioranza di gente.
In questa situazione di fatto, l'anno scorso è accaduto quel grande terremoto che colpì la regione nord-orientale del Giappone, falciando circa 20.000 vite umane. E in conseguenza del disastro della centrale nucleare di Fukushima che ne è seguito, circa 70.000 persone sono fuggite dalle terre contaminate e vivono lontano dai paesi natii, oltre a ben 340.000 persone che hanno dovuto lasciare la propria casa in varie maniere.
Per sostenere ed aiutare questi profughi, operano attualmente varie ONG di origine religiosa. Anche dalla parrocchia di mia appartenenza sono partite molte persone e lavorano anche oggi in quei luoghi.
Constatiamo che molte persone aiutate materialmente e psicologicamente sentono la gratitudine verso i soccorritori. E di fatto anche la coscienza della propria identità storico-culturale è in ripresa. Rinascono le antiche feste "matsuri" nei villaggi e città in cui vediamo la presenza naturalmente di persone religiose, ma anche di molte persone "non religiose".
Il regolamento dell'NPO giapponese vieta che le religioni cerchino di diffondere gli insegnamenti religiosi o officiare i riti religiosi. Ma tale regolamento dice di non vietare alle persone religiose di fare azioni a favore dello sviluppo dei valori morali secolari come diritti umani, pace, ambiente, salute, ecc.
I gruppi NPO religiosi cercano, attraverso le attività di sostegno, di trasmettere la fede che hanno. Ma essi non parlano dei dogmi o dei loro insegnamenti religiosi.
Queste persone sono consci di fare "le opere gratuite" e continuano a lavorare sperando che un giorno possano condividere la propria fede insieme alle persone che aiutano. In tal senso, le azioni di aiuto delle persone credenti e  delle persone "senza religioni" non si differenziano in apparenza.
La gente considera che tali azioni derivano dalla gentilezza del cuore, ma non arriva a pensare che sono atti fondati dal loro credo religioso. Questo fenomeno risulta tipicamente giapponese, di un paese in cui è obbligatorio per legge la non interferenza tra la politica e la religione.
Di conseguenza, le loro azioni vengono considerate come azioni di assistenza sociale in generale. Così risulta difficile distinguere le azioni di volontariato delle persone religiose a quelle delle persone non religiose.
Da qui deriva l'esigenza di prospettare come debbano essere le azioni sociali pubbliche fatte dalle persone religiose.
Desidero dare qui di seguito il mio piccolo contributo, suggerendo tre tracce che potrebbero servire per affrontare il suddetto problema.
La prima:
Il sostegno delle persone disastrate, ovvero le persone non religiose, generalmente viene organizzato a livello dei gruppi religiosi, ma secondo il mio parere, penso che sia più efficace rispettare e sostenere le partecipazioni alle opere di aiuto umanitario a livello individuale, sospinti dalla propria esigenza interiore.
La seconda:
Partecipare alle opere di sostegno "secolari" dopo aver dichiarato la propria posizione religiosa. Le attività in sé sono le azioni di aiuto extra religiose. Sarà importante qui comprendere e rispettare le consuetudini e le formalità religiose delle popolazioni in loco. Questo comportamento non può essere considerato come azione di persuasione per fare diventare adepti della propria religione. Bensì potrebbe semplicemente far risvegliare nella gente il senso religioso tradizionale locale preesistente.
La terza:
Le persone interessate alla religiosità, cercando la comprensione reciproca degli insegnamenti religiosi altrui, collaborano nelle attività di aiuto umanitario, nei luoghi colpiti dal disastro. In questo modo, credo che saranno incrementate le possibilità intrinseche delle religioni per una prospettiva più vasta.
Penso che possedere la capacità di esprimere con le proprie parole la fede che abbiamo serva a costruire il profondo legame di cuore con le persone non religiose.
La catastrofe che ha colpito l'anno scorso il Giappone, potrebbe essere una occasione affinché i giapponesi possano incamminarsi oggi a riscoprire la propria spiritualità religiosa. Per tale prospettiva è chiesto alle persone coinvolte nella religiosità, di operare tenendo conto di quei principi espressi.